"Lo scorso anno non mi sentivo importante" dice Pastore. E ci mancherebbe, scrive Alessandro Angeloni su Il Messaggero. Come faceva ad esserlo? Erano più le volte che doveva combattere con l'infermeria che con gli avversari. E' stata un'annata sotto zero, ora è un altro e lo sta dimostrando, anche se a fine estate ha subito un infortunio muscolare che aveva fatto pensar male tutti.
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Pastore, dolce e postdatato risveglio dell’uomo che sussurra al pallone
Rispetto all'anno scorso il Flaco è un altro e lo sta dimostrando
Ma Javier Pastore è tornato a sentirsi importante, oggi sì. Demeriti (oltre alla sfortuna) prima, grossi meriti oggi, suoi e di chi, ovviamente, gli ha dato fiducia e continuità. Fischi prima, standing ovation oggi, tutto nella norma: il calcio è così da sempre, i tifosi ti amano e ti insultato, e viceversa.
Se prima giocava da fermo, oggi è un calciatore in movimento. Sarebbe stato da pazzi contestare le sue doti tecniche: Pastore è uno che al pallone non parla, sussurra. E ciò che colpisce quest'anno dell'argentino non è la rabona, splendida, esibita contro il Napoli proprio sotto la Monte Mario, ma il suo essere sempre in partita, in tutte le posizioni (regista a momenti, trequartista spesso) e in ogni situazione (dalle rincorse alla gestione della palla in fase offensiva). Le cinque (Sampdoria, Borussia Mönchengladbach, Milan, Udinese e Napoli) partite di fila sono insolite per uno come lui (lo scorso anno al massimo è arrivato a tre), ma oggi sembra la normalità.
Pastore è il bello del pallone, quello che i bambini sognano di essere, quello che rende utile una giocata superflua (vedi la famosa rabona, un modo di calciare per la gente che per gli allenatori: il passaggio lo puoi fare anche in maniera più semplice). Ma quel tocco, quell'andatura alla Kaka, quella classe lenta alla Riquelme, ne fanno un giocatore di spessore. Che Dio lo conservi integro, perché abbiamo capito, dipende tutto da quello.
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