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Il Messaggero

Parlano i Friedkin: “Abbiamo preso l’Everton, ma la Roma resta centrale”

Parlano i Friedkin: “Abbiamo preso l’Everton, ma la Roma resta centrale” - immagine 1
I texani annunciano l'acquisizione del club della Premier
Redazione

Terminata una settimana di comunicati, quello del licenziamento di Daniele De Rossi più quello delle dimissioni di Lina Souloukou, ne comincia un'altra, sempre all'insegna delle comunicazioni scritte, scrive Alessandro Angeloni su Il Messaggero. È il giorno in cui i Friedkin ufficializzano l'acquisizione dell'Everton e poi tranquillizzano i tifosi della Roma sul futuro del club. La trattativa con gli inglesi non era nuova, aveva solo subito un brusco stop lo scorso 19 luglio, quando i due texani avevano fatto sapere, sempre con un comunicato, di abbandonare le negoziazioni con il collega iraniano, proprietario dei Toffees, Farhad Moshiri. Ieri, la svolta, poco dopo l'ora di pranzo. "Blue Heaven Holdings e il Gruppo Friedkin confermano di aver raggiunto un accordo sui termini della vendita della quota di maggioranza di Blue Heaven Holdings nell'Everton Football Club". Poi, sempre con l'ennesima nota hanno fatto sapere di essere "lieti di aver raggiunto un accordo per diventare custodi di questa iconica squadra di calcio". La parola "custode" utilizzata anche dopo l'acquisizione della Roma. La notizia fa il giro del mondo, a Roma viene presa con un po' di preoccupazione, specie nel aver letto - riguardo le loro intenzioni sull'Everton, sul quale hanno investito al momento 500 milioni di euro - di non vedere l'ora "di fornire stabilità (il club inglese è gravato da debiti che dovrebbero essere presi in carico dai nuovi proprietari, inclusi circa 200 milioni di dollari dovuti a 777 Partners, ndr) al club di condividere la nostra visione per il suo futuro, compreso il completamento del nuovo stadio dell'Everton a Bramley-Moore Dock". Insomma, l'Everton al centro dei Friedkin, così pare. E invece? Ecco il loro doveroso chiarimento ai tifosi giallorossi, che domenica hanno contestato duramente squadra e società, e che si sentono sentiti messi in secondo piano.