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Il Messaggero

Mourinho alza il muro. La squadra è con lui ma l’addio non è tabù

Mourinho alza il muro. La squadra è con lui ma l’addio non è tabù - immagine 1
Oggi gli interlocutori ai quali si rivolge sono consapevoli che ogni volta che affonda un colpo è per mandare un messaggio preciso

Redazione

Fare l’esegesi delle parole di Mourinho è sempre scivoloso. La questione dei fischi ha una doppia lettura, tra chi ritiene che sia una mossa per infuocare l’Olimpico in vista di giovedì e altri che lo vedono come un tentativo, rischioso, di alzare la tensione e allo stesso tempo cementare il gruppo. Tesi avallata dall’assemblea pubblica al fischio finale della gara col Verona in mezzo al campo e in favore di telecamera. Della serie: siamo noi, la famigerata famiglia, contro tutti. Forse a José avrebbero dovuto spiegare che la minor partecipazione del pubblico e i fischi che ha ascoltato (in uno stadio che ha fatto registrare il 23° tutto esaurito consecutivo) riguardavano per lo più dinamiche di curva e che le proteste o quantomeno il disappunto che l’Olimpico riserva a squadre che non rubano l’occhio a livello estetico, normalmente sono ben diverse. Ma la questione principale, scrive Stefano Carina su Il Messaggero, è un’altra. Ben più profonda.

Detto che il voler ribadire il concetto che “nella Roma adesso non ci sono Cafu, Maicon, Totti, Montella e Batistuta”, più che una difesa dei suoi ragazzi è sembrato un modo per rimarcare l’abisso tecnico tra la rosa che aveva a disposizione Capello quando ha vinto lo scudetto e la sua attuale, c’è un altro elemento che non è passato inosservato. E riguarda il monito lanciato nella conferenza post-gara: Parleremo a fine stagione, avrò molte cose da dire…”.

Oggi gli interlocutori ai quali si rivolge sono consapevoli che ogni volta che affonda un colpo è per mandare un messaggio preciso. Che sia a Pinto, alla squadra, ai media o ai Friedkin, poco cambia. Il rischio è che quando si lascia guidare dall’istinto e dall’impulso può anche accelerare processi e alimentare inquietudini che si trasformano in boomerang per una squadra composta perlopiù da bravi ragazzi. La questione di fondo, del resto, è sempre la solita: lo Special One – nonostante abbia un contratto fino al 2024 – condiziona il suo ultimo anno nella Capitale ad un piano di rafforzamento che, visti i paletti del “settlement agreement”, appare difficile soddisfare.