I due adesso sono noti non solo per essere due allenatori con i fiocchi (e le coccarde, e qualche scudetto: Mourinho molti di più, diciamolo subito a scanso equivoci e mail), ma anche per quel che dicono. La chiesa riportata al centro del villaggio adesso è un luogo comune, come la lavatrice Strootman; lo sono anche i zero tituli e la prostituzione intellettuale; perfino il “cosa ha vinto/” e la storpiatura dei cognomi, che non è ignoranza linguistica ma la sottolineatura della pochezza dell’avversario, un rifacimento dell’interrogativo “chi?” a rimorchio del cognome del misconosciuto, tutte attività nelle quali Mourinho è maestro. Non sono le sole in cui lo sia.
rassegna stampa
Manette e violino, Rudi e Mou maestri del gioco dei mimi
Ora i due allenatori hanno qualcos’altro in comune: in panchina, o meglio nella zona tecnica loro destinata durante la partita, giocano al mimo per tutti.
INDOVINA COSA - Ora Garcia e Mourinho hanno qualcos’altro in comune: in panchina, o meglio nella zona tecnica loro destinata durante la partita, giocano al mimo per tutti.
Fanno il gesto e poi tu devi indovinare il concetto. Non è difficile. Certo, il languido suono del violino (“o tzigano dall’aria triste e appassionata”, recitava una vecchia canzone) non è il tintinnare delle manette. Nemmeno per il giudice sportivo, tanto che Garcia se l’è cavata, per dir così, con una ammonizione con diffida e 5 mila euro di multa, mentre quando Mourinho mostrò i polsi incatenati contro l’arbitro Tagliavento che (era il 20 febbraio 2010) aveva appena ridotto l’Inter in nove, prese tre giornate di squalifica oltre a una ammenda di 40 mila euro. Le manette sono molto più violente, a vederle e a doverle indossare, del violino. Mourinho ha fatto proseliti in giro per gli stadi del mondo: citando a memoria, un Piqué e un Pizarro si distinsero in una identica gestualità. L’oggetto del desiderio era, in tutti i casi, un arbitro: almeno ai domiciliari. Garcia non è il primo violino: chi non ricorda Gilardino che lo suonava quando faceva gol? Ma il suono di Gilardino era un vibrato, quello di Garcia era quasi certamente un pizzicato: dove il pizzicato non era però il suono che così si chiama ma l’arbitro Rocchi, fresco di fischio a caso ripensato, giacché aveva dato la punizione (anche qui sbagliando: semmai doveva imporre la ripetizione della prima volta) e poi aveva accolto il suggerimento forse dell’aiutante (più arbitri in giro per il campo significano più errori e non giudizi meglio calibrati) o forse di qualche bianconero. Garcia, come la maggioranza degli spettatori non da Juventus Stadium, l’avevano, per l’appunto, colto in fallo: pizzicato.
IL PIZZICATO - Non è dato sapere cosa suonasse, canticchiasse o fischiettasse Garcia accompagnandosi con il violino inesistente; non era il po-popopo-po’ che accompagna la felicità del calcio. Si sa, però, che Garcia ha subito una specie di mutazione genetica in questo scorcio di stagione: non arriva ancora all’esagitato turbinio di Antonio Conte, ma sulla strada di Mou è ben avviato, tanto più che sembra saper mimare; ammettiamolo: il violino era ben disegnato. E a saperlo fare così ci sarebbe da togliersi le proprie soddisfazioni nella vita di ogni giorno, quando si è sopraffatti dalla quotidianità. Del resto anche Rudi lo è stato: non è da molto che è in Italia, sulla panchina della Roma, ma ha già capito quale sia la quotidianità ormai secolare del calcio. C’è una consuetudine, quella che nel diritto romano veniva definita “in dubio pro reo” e che sul terreno del calcio è stata tradotta ne “in dubio pro Juve”. E talvolta anche quando il dubbio non dovrebbe esserci.
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