José Mourinho ci aveva provato, all’inizio della stagione, con quel 4-2-3-1 iperoffensivo. Ne era nata una Roma pazza, senza alcun equilibrio, che faceva sognare ma fino a un certo punto. Naif. L’equilibrio, se c’era, era precario, scrive Alessandro Angeloni su Il Messaggero. Zaniolo, Pellegrini e Micki più Abraham componevano un quartetto troppo spregiudicato per supportare una difesa che aveva terzini leggeri come Karsdorp e Vina due centrocampisti come Veretout e Cristante. Era una squadra senza troppa logica. Mou aveva creduto che la salvezza passasse dalla qualità di certi elementi, specie di quelli offensivi. Ora, proprio quando la stagione si incammina verso la sua discesa, scopriamo una Roma diversa: brutta, che vince partite sporche e cattiva. Bella no, quasi mai. La bellezza sta nelle vittorie, non su come arrivano. Brutta perché non esprime un calcio ad alta definizione, sporca perché vince spesso di misura (dieci volte in questa stagione), con un po’ di fortuna (come contro il Vitesse ad Arnhem) e con botte di difensivismo ai limiti della norma (vedi Atalanta) e cattiva perché in ogni partita, in ogni suo minuto vive il rischio di ritrovarsi in dieci o di andare incontro ad ammonizioni che condizionano le gare in corso e quelle successive (e qui l’elenco è lungo). Una metamorfosi, che pian piano sta dando i suoi frutti, che consegna alla storia della stagione una Roma rinnovata e chissà se la vedremo così anche il prossimo anno. Il corto muso ora ha un altro padrone, oltre ad Allegri, ed è lo Special. La crescita di una squadra non dipende solo da come si metabolizza un certo credo tattico ma passa inevitabilmente sulla crescita dei giocatori. Un esempio è Kumbulla, che ha ridato solidità a un reparto che da un po’ conta pure sul recupero di Smalling, che in campionato è sceso in campo 14 volte nelle ultime quindici partite.
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La vittoria secondo Mourinho
Il tecnico ha dimostrato di non essere legato a una sola filosofia di calcio e capisce le crisi di rigetto di alcuni elementi
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