Tutto era pronto. Tutto. Come se nulla, chissà perché, avrebbe potuto modificare il destino, scrive Mimmo Ferretti su Il Messaggero. E il destino, secondo i tifosi della Roma, diceva che la squadra di Nils Liedholm avrebbe vinto quella finale. Forse perché si giocava all’Olimpico e, questo si pensava, all’Olimpico non si può perdere. Si può soltanto vincere, anche se di fronte hai i più forti d’Europa.
rassegna stampa
Io, due miei amici e l’incubo rosso
La certezza di vincere, i colori della città, il sogno e le lacrime di un intero popolo. Roma-Liverpool 30 maggio ‘84: una finale e una notte impossibili da dimenticare
La sera del 30 maggio del 1984 tutto era pronto per celebrare la Roma sul tetto d’Europa. Era pronto tutto: la festa in ogni piazza di ogni quartiere, le maglie celebrative, le bandiere con la scritta Roma campione d’Europa, il concerto di Venditti al Circo Massimo e migliaia di chilometri di stoffa gialla e rossa, e vernice a fiumi, per colorare la Capitale.
La Roma, un anno prima della finale di Coppa Campioni, aveva vinto il suo secondo scudetto, i festeggiamenti in città erano stati correttamente esagerati ma nulla, si diceva, in confronto a quanto sarebbe accaduto con la Roma campione d’Europa.
A piazza de Ricci, Valentino e Bobo, proprietari del ristorante-ritrovo di tanti giocatori di Nils Liedholm, avevano requisito ogni metro quadrato di spazio per allestire una gigantesca sala alla luce della luna per accogliere i vincitori nel post partita. Via tutte le auto, solo tavoli. E centinaia di bandiere, piantate sui muri della piazza, con la scritta Roma campione d’Europa. Chi dice, e lo fa da trentaquattro anni, che tutte queste cose portarono sfiga, non ricorda - o non vuole ricordare - che cosa significava giocare in casa la finale di Coppa Campioni, cioè essere a un passo dal sogno impossibile che stava per diventare realtà. Era inevitabile che accadesse quello che è accaduto.
Quando lo svedese Fredriksson diede il via alla finale, ore 20,15,b, ma i riflettori c’entravano poco. In tribuna stampa aggiuntiva, lo stesso schieramento tattico degli ultimi due anni: io al centro, Maurizio Catalani da una parte e Pino Cerboni dall’altra. Due colleghi, due amici. Il gol di Neal, il pareggio di Pruzzo poi i calci di rigore. È storia, la conoscono tutti. C’è stato un momento, una manciata di secondi, forse meno di un minuto, in cui la Roma è stata sul tetto d’Europa: errore di Nicol e gol di Di Bartolomei. Roma in vantaggio, che per qualcuno è la frase più bella al mondo. Il boato al gol di Ago, però, non ha nulla a che vedere con il silenzio devastante che ha accompagnato il rigore di Kennedy, quello del 4-2 (5-3 per la storia) Liverpool. Quella del sogno svanito. Ai miei lati, Pino e Maurizio piangevano disperati. In realtà, chi sostiene che quella finale non si sia mai giocata, lo fa soltanto per non piangere ancora.
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