rassegna stampa

Invidie e rimpianti del resto d’Italia davanti alla tv

Alla fine, come quasi ogni cosa che riguarda le svolte in Italia, la partita è stata decisa da due rigori e un gol con l’ombra.

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Il tifoso è sempre un visionario, potrebbe diventare realista davanti a una partita che lo riguarda solo in parte, invece, continua nel suo viaggio: ritinteggiato secondo i propri colori sociali anche quelle che non gli appartengono. Da Ventimiglia a Lampedusa passando per Trieste, tutti i tifosi delle altre squadre hanno regolato il proprio interesse calcistico su Juventus – Roma, facendo calcoli da strateghi di panchina, astruse costruzioni filosofiche che giravano per i piedi di Tevez o Totti, sistemi di odio e condivisione oltre il vecchio Totocalcio e le matrici capaci di rovesciare Sparta e Atene per arrivare a scegliere una delle due. Secondo un egoismo assurdo, visto che il campionato continuerà a passare tra loro a prescindere dal risultato. Poi, c’erano anche gli svizzeri del pareggio o gli indifferenti gramsciani da curva, quelli che con la neutralità sono stati capaci di bilanciare anni e anni di campionato, giustificando tutto in virtù dell’occorrenza. Alla fine, come quasi ogni cosa che riguarda le svolte in Italia, è stata decisa da due rigori e un gol con l’ombra. Quindi da un terzo, l’arbitro Rocchi. Segue dibattito.

Ci sono nelle partite più cose da ammirare che da disprezzare, volendo tirare dentro il portiere Albert Camus, ma Juventus – Roma ha solo confermato quello che di solito viene attribuito ai bianconeri, e, purtroppo, per loro e il calcio, il resto passerà in secondo piano. Chi aveva scelto il violinista Garcìa, vedrà Maicon sempre fuori area con Pogba, come Vidal molestare Skorupski.

E ci sarà pure a Bari o a Palermo uno che in un bar starà urlando che Lichtsteiner abbracciava Totti per metterlo al riparo dal freddo. Di sicuro l’invidia nera (non a caso) di tutti era per Gervinho che ha uno sprezzo nell’andare che è salgariano, e tutti i suoi tentativi di eludere Chiellini, Bonucci o chi altro provava a opporsi alla sue discese ardite: erano felinità applicata al pallone.

Poi, certo, a veder battere sicuro Tevez – uno che è cattivo anche quando cammina – per due volte, il pensiero viene da farlo, ma mai quanto veder Totti girarla ancora con la precisione di sguardo di Wenders. C’è stato anche il calciomercato dei rimpianti, in molti a Napoli vedendo Nainggolan sperperare una ricchezza d’aria e coprire spazi più della Nato hanno misurato il vuoto della realtà. I Raiola di provincia avranno detto che Keita era il vero affare dell’anno è che il mondo passa per la Cina, dove loro non andranno mai. A Milano un gruppo di nostalgici vendendo scendere ancora Maicon più veloce del treno Italo avranno pensato ai bei tempi anche perché hanno visto il Chelsea rivincere. Juventus e Roma sono così lontane dalle altre e così vicine all’Italia divisa. Il gioco mette distanza, l’agonismo le riporta nel clima da bar che dalla politica al pallone unisce il paese. È nella rissa che l’italiano si riconosce, è nella mischia che si sente chiamato in causa, per questo ha scelto, per arrivare a quel punto, al regolamento fisico prima che alla supremazia del gol. Quando Manolas e Morata si dimenticano del calcio e riportano tutto a uno questione tra bulli, il tifoso ritrova se stesso, rimodula i desideri – ormai la partita è andata – e sfodera il proprio orgoglio immedesimandosi nell’uomo.