Il divorzio della Roma dal capitano De Rossi è stato per settimane mascherato, camuffato artatamente da festa, scrive Mimmo Ferretti su Il Messaggero.
rassegna stampa
I valori del Romanismo vanno difesi non dispersi
C’erano un milione di modi per separarsi da De Rossi, la Roma ha scelto il peggiore
Ma festa de che? Può essere una festa veder ammainare, e in quel modo, una bandiera? Si può festeggiare piangendo di rabbia e non di felicità?
C’erano un milione di modi per separarsi, la Roma ha scelto il peggiore. Con la tempistica e le movenze dei protagonisti de La Corrida, dilettanti allo sbaraglio. Qui nessuno vuole contestare il “perché”, ma il “come”.
Perché esiste (deve esistere) il rispetto per la Storia, oltre che per l’età, gli acciacchi e la gestione dell’azienda.
Nell’addio a De Rossi (arrivederci, almeno per DDR) ci sono troppe cose che non fanno parte della logica. Jim Pallotta è libero di fare e non fare ciò che vuole con la Roma, tranne una: non tener conto della Roma.
Che non è soltanto una società di calcio, ma anche (o soprattutto) sentimento. Passione. Amore. Come dimostrato ieri sera da un Olimpico da favola, innamorato perso del suo vanto. E pure dalle lacrime del tifoso Claudio Ranieri. Di Bruno Conti. Di Francesco Totti.
De Rossi, qui nessuno può dire il contrario, meritava un’altra fine. Con un Olimpico in lacrime per un dolore che sapeva tanto di rabbia. Non c’era bisogno di un distacco così traumatico, non si avvertiva la necessità di disperdere una tonnellata di Romanismo con la leggerezza, con la faciloneria tipica di chi non sa o non conosce. Il punto, ne siamo convinti, è proprio questo: nella Roma decide chi non sa o non conosce.
De Rossi è stato costretto a togliersi la maglietta della Roma. Chi ha una Lupa tatuata sul cuore, però, spera che la squadra senza Daniele possa vincere lo scudetto già al primo tentativo, non le augura anni bui e tempestosi perché DDR non c’è più. Perché al centro di tutto restano la Roma e i tifosi della Roma.
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