rassegna stampa

Gli arbitri contro la Var. E i politici contro gli arbitri

Un rifiuto progressivo e preoccupante quello dei direttori di gara nei confronti della tecnologia

Redazione

A questo punto è il caso di parlare di autentica crisi di rigetto, scrive Gianfranco Teotino su Il Messaggero. Il sistema immunitario degli arbitri ha incominciato ad attaccare il corpo estraneo trapiantato nel loro apparato decisionale: il Var.

Non lo riconoscono come organo proprio. Dopo due anni di difficile coabitazione, adesso sembra stiano cercando di espellerlo. Un rifiuto progressivo e preoccupante. Anche abbastanza inspiegabile, considerata l’utilità dello strumento, adatto non soltanto a evitare palesi ingiustizie,ma pure a facilitare i complessi compiti di una categoria che potrebbe di diritto essere inserita fra quelle esposte a lavori usuranti.

E invece no: anziché essere considerato un prezioso supporto, il Var viene sempre più percepito dagli arbitri come mezzo di sottrazione indebita della loro autonomia discrezionale. Giacomelli a Napoli, Irrati a Udine, lo stesso Giua a Torino – è il loro pervicace rifiuto ad andare davanti al monitor a rivedere le azioni di complessa interpretazione. Questione di buonsenso, non di protocollo.

L'atteggiamento dei direttori di gara in questo turno infrasettimanale ha fornito lo spunto a un consistente gruppo di parlamentari tifosi del Napoli per presentare nientemeno che un’interrogazione parlamentare al ministro dello Sport Vincenzo Spadafora.

Gli arbitri se ne debbono fare una ragione, non sono infallibili, una verifica in più non può scalfire il loro ego. Altrimenti, se continueranno così, l’inserimento fra le regole di ingaggio della possibilità di chiamata al video da parte di allenatori o capitani diventerà non più un’ipotesi da vagliare, ma una conseguenza inevitabile dei loro comportamenti omissivi.