«Ho scelto la Sampdoria perché mi è sembrata la società più sana. Mi avevano offerto il Bologna. E la Salernitana prima che la prendesse Lotito. E ho lavorato tanto per acquistare la Magica prima dello sbarco di Albertone. Dell’americano a Roma». Massimo Ferrero, produttore cinematografico e da meno di 7 mesi «unico proprietario» del club blucerchiato, abita in centro ormai da più di vent’anni.
rassegna stampa
Ferrero: “Prendere la Roma era il mio sogno”
"Ho lavorato tanto per acquistare la Magica prima dello sbarco di Albertone. Dell’americano a Roma. Domenica sarà la prima volta che entro nel mio stadio da presidente"
E’ uscito da Testaccio per salire la scalinata di Trinità dei Monti. Il Messaggero è, dunque, a cento metri da casa sua. Arriva a piedi, sciarpa da tifoso al collo.
Ne ha una nuova, fondo bianco, e la farà debuttare lunedì all’Olimpico per la gara contro la Lazio. «Sarà la prima volta che entro nel mio stadio da presidente». Sembra emozionato. Come quando, dopo l’intervista alla tv del sito del nostro giornale, si avvicina, con le mani giunte, alla prima pagina dedicata a Papa Woitjla. «Siamo stati insieme a Cuba». Al seguito del Pontefice, per un documentario.
Si inginocchia, invece, davanti alla pagina che racconta la scomparsa di Alberto Sordi. «Anche se in Turchia, per un pranzo che non aveva pagato, ho rischiato la vita». Si diverte a raccontare se stesso. Meno a discutere di calcio. «Perché sento solo chiacchiere». Lo dice con convinzione. Fuori onda e passando da un telefonino all’altro. Ne ha due, sempre accesi. Uno con batteria supplementare per non restare a secco di energia. Difficile per lui.
Sembra infastidito dallo spettacolo a cui ha assistito nelle assemblee della Lega: certe litigate non servono proprio a niente?
«Nessuno, lì dentro, guarda allo sviluppo di questo sport. Chiamatela Slega. Perché lì ognuno pensa a se stesso. Senza le riforme e gli stadi, il nostro calcio non ha senso. Pensate che alcuni impianti nemmeno hanno le uscite di sicurezza. Io, invece, ho convinto Lotito ad aprire lunedì le porte ai tifosi non fidelizzati della Samp. Intini, presidente dell’Osservatorio, è d’accordo e lo ringrazio. Faremo un appello, insieme con la Lazio, prima della partita. Sarà la festa della romanità».
I presidenti del calcio italiano litigano solo su questioni economiche?
«Lo raccontano a voi. Ma chi ha i soldi tra i miei colleghi? Vedo solo quelli di cioccolata».
La Juve e la Roma sono contro tutti: vero?
«No. Solo il club giallorosso contro Lotito. La società degli Agnelli prima era la Vecchia Signora che aiutava gli altri, magari acquistando giocatori. Ora non può più farlo. Deve solo pensare a se stessa».
Di sicuro tutti discutono di arbitri. A proposito: è favorevole alla moviola?
«Io ne sento parlare ogni volta che c’è un episodio contestato. Ogni sei mesi sento dire che è il caso di introdurla, ma poi nessuno decide. E’ questo il nostro problema. Tante parole e pochi fatti. Basta. E’ umano sbagliare e ci sta che l’arbitro, chiamato a far rispettare le regole possa commettere errori. Non deve, però, farne troppi. Meglio un uomo vigile che una macchina vigile».
Come sono i suoi rapporti, essendo lei appena atterrato in serie A, con gli altri presidenti?
«Dovete chiedere a loro se gli sono simpatico. Io non conosco nè l’odio nè l’antipatia. Credo che qualcuno sia invidioso della mia popolarità, perché finisco spesso in prima pagina e loro, da trent’anni nel calcio, niente. Altri, per la verità, rosicano di brutto. Mi definiscono fortunato, pensate un po’. E invece...
Pensa, a parte il buon rendimento della sua squadra dall’inizio del torneo, di aver lavorato bene come dirigente?
«Ho aspettato otto mesi prima di chiudere con Garrone. Ho faticato quasi un anno. Volevo rendermi bene conto di che cosa trovavo. Quando sono arrivato alla Sampdoria avevo ottantaquattro tesserati e adesso sono scesi a quaranta. Spero, dopo il mercato di gennaio, di restare con trenta. Male che va il bilancio sarà negativo di tre milioni. Ma se mi va bene, metto il segno più in meno di un anno. E ci sono poi colleghi che fanno battute sul mio personaggio. Mi sarei aspettato altro da loro».
A che cosa si riferisce?
«Nessuno mi ha difeso quando sono stato deferito. Io volevo solo essere grato a quanto fatto da Moratti nel calcio. E quella su Thohir era solo una battuta. Se il presidente dell’Inter fosse nato a Nizza e io avessi detto cacciate quel francese non sarei stato punito. Nessuno in Lega ha aperto bocca, se ne sono fregati. Come fanno quando accade qualcosa che non li riguarda in prima persona. Non vedo l’ora di essere giudicato. Si chiama corte d’appello, ma ho già scontato un mese. Altre norme da cambiare».
Lotito, invece, perdonato per l’offesa a Marotta: che idea si è fatto della giustizia sportiva?
«Aspetto metà gennaio. Io sono buono, ma non devono farmi arrabbiare perché divento cattivissimo. Claudio sta da più anni di me nel calcio e ne capisce più di me. Mettiamola così. E’ un grande lavoratore, ma deve onorare il mandato che ha ricevuto da tutti noi. Pensasse a fare le riforme, sennò lo mandiamo a casa. Intanto voglio arrivare terzo davanti alla sua Lazio».
Non ha nemmeno un amico tra i presidenti?
«Giampaolo Pozzo. Dice di lavorare due ore e invece sono quaranta. Ha capito tutto. Mi piace anche il figlio Gino. A lui dedico un detto: con poco si campa, con niente si muore».
Forse si riferisce a Muriel che sta per passare dall’Udinese alla Sampdoria?
«Fermi: io di mercato non mi occupo. Nemmeno posso, per il deferimento. Alle trattative pensa Osti».
Che rapporto ha con De Laurentiis?
«Buono. Aurelio è un profeta. Ha passione. Ma ultimamente ha un po’ mollato. Vorrebbe dieci squadre in Europa e diminuire il numero di quelle iscritte al campionato. Asciugando il torneo. E aprendo agli stranieri, senza contare più gli extracomunitari. Io la penso come lui, siamo due mosche grigie».
Il vostro calcio non è in sintonia con quello di Tavecchio?
«Io voglio tornare a quello di quando ero bambino. La gente deva andare allo stadio, a divertirsi. Basta accendere la televisione e vedere che cosa accade in Premier. Noi siamo ancora alle due camere e cucina. Mi hanno preso in giro perché volevo costruire il nuovo stadio davanti al mare. Ora spenderò dieci milioni per rifare Marassi, mi sta seguendo nel progetto pure Preziosi. Il mio calcio è per i tifosi. Che mi hanno capito. Non solo quelli della Samp. Ho brindato a Capodanno a Firenze con quelli viola».
La famiglia Ferrero è solo romanista?
«No. Mio fratello Vittorio e suo figlio Giorgio sono laziali e saranno all’Olimpico lunedì. E con loro mio figlio Riccardo, anche lui biancoceleste. Quando ho preso la Sampdoria mi hanno subito detto che dovevo acquistare la società di Lotito. Mi hanno insultato. Io, però, non l’avrei mai fatto. Chi l’avrebbe sentita Emma, la mia figlia sedicenne che è la più romanista di casa. Con Fabrizio, uno dei due miei figli adottivi, mi hanno chiesto se a Marassi potevano tifare contro di me. Ho chiesto loro però di spostarsi e di non starmi vicino in tribuna. Ormai il mio cuore è per trequarti della Sampdoria. Un quarto è giallorosso».
Thohir, Pallotta, Saputo e altri: come valuta l’invasione degli stranieri?
«Semplice. Chi viene per investire mi va bene, chi è qui per far business e criticare se ne può pure tornare subito a casa sua».
A parte Totti, quali giocatori Ferrero porterebbe via alla Roma?
«Nainggolan e Florenzi. Garcia, comunque, ne ha tanti che mi piacciono e soprattutto di alto livello».
Crede di avere la giusta preparazione per stare nel calcio?
«Vi dico la verità, ho studiato per un mese. Ho cominciato dai miei giocatori. Non ne conoscevo nemmeno uno. E’ stata dura quando sono andato a presentarmi. Ora so anche chi affrontiamo... Io, prima di prendere la Sampdoria, andavo all’Olimpico a vedere solo i big match della Roma. E qualche partita della Lazio».
Il suo feeling con Mihajlovic come e dove è nato?
«A tavola, in un ristorante a Roma. Era il giorno di Italia-Inghilterra, la prima della nostra nazionale al mondiale in Brasile. Lo portai a vederla all’Adriano: sala quattro, io e lui da soli. Più Coca cola e pop corn. Si è fidato subito. E’ un guerriero come me. Lo stimo e lo vedo più come amico che come tecnico. Non penserò mai al suo esonero. Nemmeno dopo due sconfitte di fila. Anche perché lui le due gare le vince...».
Come mai continua a pagare Delio Rossi?
«Perchè non ha accettato la transazione. Insomma non è stato diligente... Ma il prossimo contratto lo farò come dico io: con una clausola. Non pagherò più chi non lavora per me».
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