rassegna stampa

De Vito, le nuove accuse: “Poteri pubblici usati per l’interesse di privati”

Per i giudici del Riesame, il presidente del Consiglio Comunale di Roma era l'"amico potente" dei costruttori

Redazione

"Un patto criminoso di mercificazione della pubblica funzione". Per i giudici del Riesame, il presidente del Consiglio Comunale di Roma, Marcello De Vito, non era un uomo che "tagliava solo nastri", come ha sostenuto il suo socio in affari Camillo Mezzacapo, ma era "l'amico potente", capace di sfruttare la sua influenza all'interno dei Cinquestelle e al Comune, come riporta Valentina Errante su Il Messaggero, riuscendo così a condizionare le scelte degli assessori e andando oltre le proprie competenze, per perseguire l'interesse di gruppi imprenditoriali privati, "con un profondo disprezzo per la funzione pubblica svolta".

De Vito, arrestato lo scorso 18 aprile e ancora in carcere, avrebbe ideato un format corruttivo: incarichi legali allo studio Mezzacapo per promuovere i progetti di gruppi Parnasi, Statuto e Toti.

I pm avevano chiesto il carcere e ipotizzato la corruzione solo per i favori a Luca Parnasi, ma sia il gip che il Riesame correggono il tiro: non c'è stata solo la «mercificazione della funzione e la arrogante dismissione dell'imparzialità a favore del gruppo Parnasi», ma anche negli altri due casi si configura la corruzione.

I giudici temono l'inquinamento probatorio e la reiterazione del reato, sottolineando come il presidente del Consiglio comunale non si sia mai dimesso. Per i giudici "l'ostinata inclinazione delinquenziale di De Vito e Mezzacapo" e la rete di relazioni, in fase di accertamento, costituita da soli interessi, hanno reso "un dato meramente formale il ruolo pubblico".