rassegna stampa

Da Mendieta a José Angel quando la Spagna non fa scuola

(Il Messaggero – S.Carina) – Con l’addio di Luis Enrique si confermano le difficoltà che gli spagnoli – tecnici o calciatori – incontrano in Italia.

Redazione

(Il Messaggero - S.Carina) - Con l’addio di Luis Enrique si confermano le difficoltà che gli spagnoli – tecnici o calciatori – incontrano in Italia.

E pensare che la loro storia nel nostro paese era cominciata in maniera splendida: nel ’61 sbarcarono Juan Santisteban (al Venezia) e Luis Suarez, unico Pallone d’Oro spagnolo della storia. Un anno dopo Luis del Sol e Joaquin Peirò arrivarono a Torino, il primo bianconero e il secondo granata, poi entrambi si trasferirono nella capitale. Grandi giocatori che in Italia fecero bene. Fino alla fine degli anni ’80 di spagnoli non se ne videro più. Dall’88 al ’90 ecco una tripletta prestigiosa: Victor Muñoz (Sampdoria), Ricardo Gallego (Udinese) e Rafa Martin Vazquez (Torino).

Stimatissimi in Spagna, poco più che sufficienti da noi. Non meglio andò con i nuovi arrivati: a Roma sbarcarono un giovanissimo Helguera e Gomez (difensore che giocò appena 3 partite in 4 anni, compreso un derby, portandosi a casa un miliardo e mezzo a stagione e aprendo una concessionaria d’auto all’Eur). Di Helguera – che poi al Real Madrid ha vinto tutto quello che c’era da vincere - arrivò anche il fratello minore Luis: fece su e giù tra Udine ed Ancona, ma non riuscì ad affermarsi. Stesso discorso per i costosissimi Farinos (Inter), De la Peña e Mendieta (Lazio) per il quale Cragnotti sborsò 89 miliardi al Valencia. Poi toccò al Milan con Jose Mari e Javi Moreno. Anonima anche la parentesi giallorossa di Guardiola (meglio a Brescia con Baggio). La Lazio ci riprovò con Delgado e Oscar Lopez, la Fiorentina con Portillo e Amor, il Livorno con Tristan.