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Conidi: “La mia vittoria? Celebrare la Roma con una canzone”

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"Mai sola mai è un brano che descrive i sentimenti che solo chi ogni domenica sale i gradini dello stadio riesce a provare"

Redazione

Autografi, selfie per strada, premi, inviti. Forse in trent'anni di carriera Marco Conidi non è mai stato così appagato e felice come oggi. Il merito è di una canzone scritta vent'anni fa e diventata in questi mesi la più cantata da mezza Roma: Mai sola mai è stata la colonna sonora dei successi dei giallorossi guidati da Mourinho, dalle conquiste sul campo dell'Olimpico fino alla notte magica di Tirana. "È stata una settimana speciale, per me. - dice Conidi intervistato da Mattia Marzi su Il Messaggero In Campidoglio martedì ho ricevuto il Microfono d'oro come Rivelazione maschile. Gli amici mi hanno preso in giro: “Te lo dovevano dare vent'anni fa”. Vero, ma meglio tardi che mai (ride). E la Roma mi ha consegnato una targa per aver unito milioni di persone con la mia canzone: mi hanno fatto felice come un bambino".

Marco Conidi stasera festeggia con i suoi inseparabili compagni di viaggio dell'Orchestraccia,  superband composta da cantanti, musicisti e performer che da anni con i loro show celebrano la tradizione musicale capitolina, sul palco di Villa Ada Festival.

Canterà anche “Mai sola mai”? "Per forza. Non posso non farla. Mi incatenerebbero sul palco. Però ci tengo a dire che sarà un'esibizione sobria, non da sfegatati: basta la canzone. Mai sola mai è amata anche dai tifosi delle altre squadre proprio per questo: perché non è un inno come gli altri, ma un brano che celebra quel rapporto magico che lega il tifoso alla propria squadra del cuore. Potrebbe essere l'inno di chiunque: basta sostituire la parola “Roma” con il nome di un altro club".

Si ricorda quando la scrisse?

"Esattamente vent'anni fa. Ero a casa di mia madre. Cercavo di scrivere un inno, ma il confronto con i precedenti, insuperabili, era frustrante. Mi dicevo: “Come posso fare di meglio?”. Volevo esprimere quello che un tifoso come me prova per la propria squadra del cuore, ma farlo in modo non banale. Raccontai senza giri di parole quello che mi passava per la testa. I primi versi nacquero così: “Che cosa sei per me, spiegarlo non è facile".

“Sognavo di essere Agostino e dare calci alle paure”, canta: un inno d'altri tempi?

"In parte sì. Oggi vanno di moda le punizioni battute in modo particolare, i tiri a giro. Noi quando eravamo ragazzini, nei cortili dove giocavamo a calcio imitando i grandi protagonisti di quelle annate, a partire da Agostino Di Bartolomei, tiravamo queste bombe liberatorie: era più di un tiro, un modo per scrollarsi di dosso tutto. Questa canzone non incita la squadra alla vittoria, ma parla di quei sentimenti che solo chi ogni domenica sale i gradini dello stadio riesce a provare".