Avevo deciso di non intromettermi nei complicati meccanismi che regolano il rapporto tra la proprietà e noi tifosi della Roma, scrive Enrico Vanzina su Il Messaggero. Ma dopo la dolorosa sconfitta maturata a Budapest ho deciso di rompere il silenzio. Quel silenzio che la famiglia Friedkin, un po' per educazione, un po' per eleganza (e ne dobbiamo dare loro merito), ma anche per una certa inspiegabile strategia, è diventato il marchio della loro gestione. Questo silenzio assordante finisce per rimbalzare in maniera dolorosa sui sogni di due entità fondamentali: l'allenatore e i tifosi. Dell'allenatore non parlo. Ricordo soltanto ai signori Friedkin che da quando è arrivato a Roma (merito loro senza dubbio) questo signore portoghese ha trasformato una palude piatta di rassegnazione in un mare in tempesta gioiosa. Passo all'argomento tifosi. Siamo tantissimi. Per spiegare alla proprietà americana perché ogni tanto vorremmo sentirli parlare racconto l'ultimo frammento del nostro tifo: la trasferta a Budapest. Lì, cari Friedkin, la Roma ha perso la partita ma per noi tifosi della Roma è stata comunque una grande vittoria. Nonostante questo finale, nonostante un arbitro vestito da Giuda che ci ha condannato e dal cielo alla terra ci ha riportato. E' stato un bel viaggio che ci ha fatto arrivare in finale. E' un silenzio assordante quello di oggi che unisce tifosi, giocatori. E un allenatore che ha riportato alla gloria il nostro nome. È per questo che ci meritiamo una proprietà appassionata, non muta. Fateci sentire che non siamo soli. Fateci sentire che avete capito chi siamo. Perché voi avete comprato la Roma, ma la Roma siamo noi.
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La lettera di Enrico Vanzina: "Ci meritiamo una proprietà appassionata, non muta"
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