Le ultime, preziose dichiarazioni ufficiali di Carlo Tavecchio sono affidate all’incalzante intervista andata in onda sul Tg1 giovedì sera. Domanda: “Presidente Tavecchio, ma lei non sarà mica razzista?”. Risposta: “Ci mancherebbe altro!”. Il candidato “banana” non arretra. Rilancia e va avanti, con il caschetto in testa. Non gli resta che aspettare che il week end passi in fretta e arrivi subito lunedì, il giorno della verità e della conta. Il ritiro, ancora una volta, è stato smentito dal diretto interessato. Glielo ha chiesto ufficialmente l’altro candidato, Demetrio Albertini. Su twitter: “Se nell’interesse del calcio, Tavecchio, che con le sue affermazioni ha provato una decisa frattura, ritirasse la propria candidatura, sarei pronto a fare altrettanto con l’unico fine di tenere unito il nostro mondo che ha urgente bisogno di riforme e dialogo”.
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Dal mazzo dei no Tav sbuca la carta Veltroni
A due giorni dall'elezione del presidente federale, ancora poco chiara la situazione intorno ai due candidati.
L’ex regista del Milan, al di là delle parole ecumeniche, sa di essere fuori dalla partita: la crescita del dissenso nei confronti di Tavecchio non ha aumentato le sue possibilità, servirà a ingrossare il numero delle schede bianche. Il nome di Albertini al massimo può tornare utile per la vicepresidenza: il ritiro del “banana”, a questo punto, non conviene più nemmeno a lui. Il vero ballottaggio è tra un’elezione limpida (nei numeri) di Tavecchio, ormai improbabile, e lo stallo politico, che può portare al commissariamento. La resa del favorito prima del voto, ormai, sarebbe ipotizzabile solo se le pattuglie no Tav della serie A diventassero improvvisamente maggioranza. Per ora sarebbero ferme a nove, con Juventus, Roma, Fiorentina e Torino in testa.
Giovedì hanno presentato un documento che chiede il ritiro di entrambi i candidati: “Per riformare il calcio italiano – si legge – serve un largo consenso che ora non c’è”. Andrea Della Valle, presidente viola, ha insistito: “È una situazione kafkiana. Non abbiamo nulla di personale contro i due candidati ma noi come altre nove, dieci società, ci aspettiamo un passo indietro”. Nove, dieci società: l’incertezza sul numero dei “ribelli” è significativa. Tavecchio in principio aveva dichiarato che se fosse venuto meno l’appoggio di una delle Leghe, avrebbe meditato sull’opportunità di rinunciare alla sua corsa.
Anche Urbano Cairo, proprietario del Toro, ha alluso alla possibilità che altre tre squadre di serie A si aggiungano alle nove dissidenti. Ammesso che esistano, per ora rimangono sotto traccia. Ieri in serie A il derby tra tavecchiani e anti tavecchiani si è giocato a Ganova. Il nuovo presidente della Samp Massimo Ferrero, che sta provando a ritagliarsi un ruolo di prestigio nella fronda no Tav, ha lanciato la sua elaborata proposta: “Un comitato di saggi, condiviso con il Coni, che sappia, in tempi brevi, elaborare un pacchetto di interventi urgenti, immediatamente realizzabili; poi andremo a votare, compatti, il nostro presidente. Se tutto ciò non sarà possibile – aggiunge Ferrero –allora uniamoci per chiedere che lunedì il voto non sia segreto a prescindere dai tecnicismi di palazzo. Sarebbe un segnale di onestà e rispetto nei confronti del calcio”. Ma anche una violazione dello statuto, come gli ha risposto il patron genoano, Enrico Preziosi: “Cambiare le regole a due giorni dal voto è come vincere a carte truccando il mazzo”. L’estremista tavecchiano Zamparini, presidente del Palermo, ha rincarato: “Sono inorridito dal documento che hanno fatto quei nove, sono un branco di citrulli”. Ultima replica, ancora di Urbano Cairo: “Zamparini insulta, ma quel documento stava per firmarlo pure lui”. C’è grossa confusione.
Non resta che aspettare lunedì. La presidenza della Figc è questione di numeri. Quelli di Tavecchio si sono sgretolati nell’arco di un paio di settimane, proprio quando per la prima volta si ipotizzava l’elezione di un presidente con l’appoggio unanime di tutte le Leghe.
L’assemblea è composta di 309 delegati. I Dilettanti ne gestiscono da soli il 34 per cento. Un altro 34 è diviso in parti diseguali tra A, B e Lega Pro. Tavecchio mira al 50+1 e sulla carta non dovrebbe fallire l’obiettivo. Ma occhio ai falchi tiratori: ne bastano molti meno di quelli che hanno impallinato Prodi. E soprattutto, occhio alla decisione della Lega di A: i presidenti si vedono alle 10. In termini elettorali, in assemblea, la serie A pesa poco. Politicamente molto di più. Se dei 18 che avevano sottoscritto la candidatura di Tavecchio ne rimanessero meno di 10, l’operazione “banana” sarebbe tecnicamente fallita. A quel punto può entrare in azione il Coni e Giovanni Malagò può pensare a un commissario. In passato, solo Guido Rossi è stato estratto fuori dal mazzo del Coni. Ma in questi giorni di fantapolitica, avanza concretamente il nome di Walter Veltroni.
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