(Corriere dello Sport - G.Dotto) Dalle 16 e 52 di domenica, l’attimo esatto in cui Rocchi ha fischiato il loro diritto alla felicità, i romanisti si sono ammucchiati e contati.Erano uno in più. Un tale di nome Rudi Garcia. Francese di sangue andaluso, anni 49, occhio celeste ma sanguigno, segno dell’acquario, sensuale e cerebrale allo stesso tempo. Diciamo così, una sensualità accesa ma temperata da un intelletto sempre vigile. Anche senza chiamarsi Voeller, Rudi era romanista da sempre, ma non lo sapeva. O forse sì, ma aveva bisogno di celebrarlo.
rassegna stampa
Un po’ gladiatore un po’ guascone. Rudi libera tutti
(Corriere dello Sport – G.Dotto) Dalle 16 e 52 di domenica, l’attimo esatto in cui Rocchi ha fischiato il loro diritto alla felicità, i romanisti si sono ammucchiati e contati.
Il derby, l’occasione giusta. Domenica all’Olimpico, Garcia è stato allo stesso tempo il prete, lo sposo e il testimone di se stesso. Ha officiato, parlato e ascoltato davanti a milioni di romanisti, sparsi tra stadio e mondo, Londra compresa. Ha giurato fedeltà, si è ricordato diritti, piaceri e doveri. Dicendo sì alla Sud, la promessa sposa, ha detto sì anche a se stesso. «Da oggi sono romanista» . Rudi, uno di noi. (...)
Se devo pensare a una tragedia straziante, non penso al collasso del sole e nemmeno all’invasione dei topi o alla moltiplicazione dei Lotito, penso alla storia della mezza mela. Lo racconta Platone che nasciamo interi e ci spaccano in due metà al primo vagito. Una crudeltà. Da quel momento non facciamo altro che cercare nel mondo la nostra parte mancante. La tragedia è che non la incontreremo quasi mai. (...)
Magari è a due metri da noi, la mezza mela, la sfioriamo, ci passiamo davanti, ma non la riconosciamo. Il romanista che era in Garcia si cercava ma non si trovava. Noi cercavamo lui e lui cercava noi. Lui disperso tra Digione, Le Mans, Lille, noi dispersi tra asturiani, boemi e probabili livornesi o improbabili altri francesi.
Dopo aver buttato due anni dietro gli estetismi da prima elementare di Baldini, ci voleva quel rude ma illuminato forcipe di Sabatini a “combinare” l’incontro. A riunire le due mezze mele. La Roma e Rudi Garcia, gemelli separati alla nascita. Con quel suo strepitoso «Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio» , Garcia ha pronunciato la frase più romanista (e antilaziale) di sempre. Che tantomeno il plebeo Mazzone e il curiale Ranieri si erano mai sognati. Faccia romanista anche quella di Garcia. Da legionario in guerra permanente. Che ora ha ritrovato anche la parola. Scegliendo di non esprimersi in madre lingua, per la vanità barra necessità di farsi capire in italiano, Rudi si era destinato alla sofferenza degli uomini intelligenti: costretto a tradurre in modo grossolano quello che nella sua testa era molto più sfumato. Da quando accede a un italiano più complesso, Garcia rivela un talento comunicativo che ne farà presto l’anti Mourinho nel mondo. Non ha sbagliato nulla, nemmeno quel «Chi non ama la Roma è laziale» detto a Brunico. Forse il suo capolavoro.
Azzardo necessario a scioccare un ambiente che marciva in un marasma di veleni e piagnistei. Anche un modo per costringere se stesso in un punto di non ritorno. Da condottiero, a quel punto, avrebbe stravinto o straperso. A proposito di tragedie. Se penso che avremmo potuto avere di questi tempi in panchina, invece di Garcia, quella sagoma citrulla e piena di denti di Allegri, quella sua voce fessa come certi vuoti di bottiglia, a quattro milioni d’euro l’anno, mi viene da spararmi. Il francese era bollato all’epoca come una “quarta” o “quinta scelta”. Era la sua lettera scarlatta.
Il carro del romanista Garcia in queste ore è sovraffollato. Solo posti in piedi. A spintonare per salire a bordo, sgomitando sul predellino, ci sono gli stessi che solo due mesi fa pontificavano, inventandosi microfoni anche dove non c’erano: “Ma chi è questo Garcia? Chi lo conosce? Dopo il 26 maggio ci vuole ben altro, uno come Allegri”. Insopportabile caso di pensiero gregario. Nel frattempo, Rudi Garcia ha cancellato il 26 maggio. A proposito di 26 maggio. Si dice a Trigoria che Rudi abbia nei toni e nei modi qualcosa di napoleonico. Era il 26 maggio del 1805 quando Napoleone fu incoronato re d’Italia. Una settimana prima e due secoli dopo, il 18 maggio 2014, si giocherà l’ultima di campionato, Genoa-Roma. Partita che ai tifosi meno giovani dirà certo qualcosa. Raccontatelo al romanista Garcia il gol scudetto di Pruzzo e la festa all’Olimpico una settimana dopo. La storia a volte si ripete. Magari anche stavolta avremo qualcosa di napoleonico da festeggiare una settimana dopo. Lunedì 26 maggio, 2014.
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