Dopo 685 partite giocate in giallorosso, 285 gol totali, 230 in campionato, una vita in una sola città e per una sola squadra, una rinuncia monastica alla caterva di successi sportivi che avrebbe colto altrove , Francesco Totti un giorno verrà archiviato nella storia come inventore di un modo di dire pronunciato in Nazionale. Mo je faccio er cucchiaio . Glielo ha fatto. Francesco Toldo non ci voleva credere quando prese la rincorsa.
rassegna stampa
Totti e la Nazionale. Il cucchiaio, la Coppa e ancora non è finita
Dopo 685 partite giocate in giallorosso, 285 gol totali, 230 in campionato, una vita in una sola città e per una sola squadra, una rinuncia monastica alla caterva di successi sportivi che avrebbe colto altrove ,
Totti fece un passo, due, tre e non cambiò idea. Il pallone viaggiò al di sopra di Van der Sar per quanto era lungo. L’Italia andò alla finale e perse il titolo europeo contro la Francia. Sull’ultima azione, quella dell’ultimo gol, strapparono il pallone proprio a Totti che cercava di impastarlo nella piazzola del calcio d’angolo dall’altra parte del campo. Nessuno gliene fece una colpa.
Era il 2000, Totti era giovane e comunque più tardi imparò a incatenare le partite alla bandierina. Non ha procurato pochi punti alla sua Roma con tale gioco di prestigio. Quella fu la sua prima vera Nazionale e se la storia fosse cominciata con un titolo non ci sarebbe stato nulla da dire. Il selezionatore era Dino Zoff, che spesso lo faceva giocare e talvolta no, per insegnargli l’umiltà.
Totti oramai non ha bisogno di lezioni.
Cesare Prandelli, suo allenatore per poche mattine alla Roma, avrebbe voglia di chiamarlo dopo sei anni di assenza da una parte, di non illuderlo e di non illudersi dall’altra. L’attuale ct azzurro non vuole illuderlo ma la tentazione di inserirlo nella rosa per il Mondiale c’è: una volta che l’hai inserito non puoi più farne a meno. Dopo Zoff ebbe Giovanni Trapattoni, sapiente di calcio quanto bastava per capire che bisognava dare ascolto all’istinto del giocatore. Poi un arbitro chiamato Moreno prese il centro del palcoscenico. Fu perfetta ingiustizia l’espulsione di Totti contro la Corea del Sud per una simulazione inesistente, fu perfetta stoltezza da parte di Totti nell’Europeo successivo sputare su un brocco danese che gli passeggiava sui piedi dall’inizio della partita.
Crescita, caduta, riscatto. Ecco Marcello Lippi, un Totti ormai maturo marcia con la magica Roma di Spalletti. Richard Vanigli lo abbatte, lui si rialza con la determinazione che da quel momento non lo abbandonerà più. Riesce a giocare quel Mondiale, ed è una prodezza. Non è pronto, ed è il segno del fuoriclasse quel rigore infilato nei minuti extra contro l’Australia. Nessuno voleva tirare perché il pallone era una sfera di piombo. In finale Totti è distrutto, eppure la Francia tiene tre centrocampisti a fare la guardia finché lui non esce. Si vede diventare campione del mondo dal ciglio del campo. Non ci fosse mai riuscito, sarebbe stata una crepa strutturale nell’universo del calcio.
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