rassegna stampa

Sarà corpo a corpo. Da oggi servono i lupi

Una Roma arrabbiata, undici belve come scrive oggi Giancarlo Dotto sul Corriere dello port. Sarà questa la Roma che affronterà oggi il Sassuolo.

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Una Roma arrabbiata, undici belve come scrive oggi Giancarlo Dotto sul Corriere dello port. Sarà questa la Roma che affronterà oggi il Sassuolo. E dovrà esserlo fino alla fine del campionato. Lupi veri, mica cartonati. Tutto per riprendere il filo delle vittorie e dimenticare in fretta Banti.  Il volo è stato meraviglioso, la sequenza inebriante, ma da oggi si va tutti in trincea. A scavare a mani nude. Da oggi sarà solo corpo a corpo. Botte da orbi e gomiti nel costato. Juventus, Napoli, ma ci metto anche Fiorentina e Inter, non molleranno mezzo alluce. ".. io non dimentico. No, non dimentico" scrive Dotto nel suo articolo "Me la tengo stretta questa magnifica storia delle dieci vittorie, mi ci faccio un triplo nodo alla cravatta, ora che questa molto imbecille idolatria del futuro ci spinge ogni volta a dimenticare, a passare oltre. “Che non bisogna guardarsi indietro”. Stronzate. Io sto lì. Non dimentico. Sì, tutto brucia ma io voglio fissare la cenere e ricordare. Voglio sostare ancora tutto il tempo che serve all’omaggio dell’impresa che è stata".

Il giornalista è certo e fiducioso nello spirito di gruppo ormai infondato da Garcia "Voglio ricordare. Di quando, solo cinque mesi, il tifoso romanista si sentiva molto cenerentolo e sguattero nella sua zucca, tra pensieri matrigni e fantasie sorellastre. Di quando arrivò il principe dall’occhio azzurro, un principe riservista franco-andaluso venuto dalle miniere. Un occhio vagamente allucinato, è vero, ma capitava a Roma, nel Vietnam calcistico. Non è vero che fosse la terza scelta Rudi Garcia, era la sesta, forse anche la settima, dietro nei sondaggi e nelle aspettative della gente anche a Blanc, Mancini, Bielsa, Capello e il ritorno dello stesso Zeman".

Ed infine "La tragedia è dimenticare. Assecondare questa volgare frenesia del passare sempre oltre, dell’appiccicare subito la nuova figurina nello spazio rimasto vuoto. E invece no, voglio ricordare che questa impresa delle dieci vittorie ha restituito orgoglio e dignità al tifoso più umiliato del pianeta. Lo ha messo in bocca a tutte le lingue del mondo. Voglio ricordare che questa storia s’è interrotta non perché si doveva interrompere, ma perché la bellezza è insostenibile. Nessuno può reggerla troppo a lungo. Fateci caso, c’è sempre qualcuno o qualcosa che s’incarica di sfregiare la bellezza. Il tempo, il caso, un pazzo o un idiota".

Qualcuno si doveva incaricare di fermarla questa storia meravigliosa, di ricordare che la mezzanotte scocca e si è cacciati dal proprio sogno. Banti è innocente. Lui è solo tecnicamente l’idiota di turno, l’equivalente del Laszlo Toth che martella vandalico la “Pietà”. Dall’etimo di “Idiòtes”, sia chiaro, di persona cioè “privata”, che non vede oltre il suo naso, oltre il suo cortiletto alias fischietto, al punto di non capire che quella sera non era in gioco una volgarissima partita di calcio, né una banale questione di classifica ma, molto di più, il tenere in vita una storia grandiosa, unica, che a quel punto non era più solo una storia romanista. Un viaggio sentimentale, appunto. Banti ha anche avuto due occasioni più che legittime per non rovinare la favola. Nove volte su dieci, nella contesa tra attaccante e difensore, si fischia a vantaggio del difensore. Banti era il decimo. Il rigore su Pjanic si fischia dieci su dieci. Banti era l’undicesimo. Non l’ha fischiato. Non chiedetegli perché, non saprebbe rispondere. Si sarà facilmente assolto, potete scommetterci. Convinto, poveraccio, d’aver tutt’al più alterato una partita di calcio. Non capirebbe. Si fosse almeno chiamato Banfi, ci sarebbe da ridere