rassegna stampa

Roma difenditi!

(Corriere dello Sport-R.Maida) Una società che si dichiara innovativa ha il dovere di ottenere risultati per non sembrare presuntuosa.

Redazione

(Corriere dello Sport-R.Maida)Una società che si dichiara innovativa ha il dovere di ottenere risultati per non sembrare presuntuosa. Se ne è accorto con grande onestà intellettuale Franco Baldini, ieri avvistato a Napoli (tam tam immediato, è andato a vendere Pjanic: falso, era lì per la vicenda Moggi). Subito dopo il terzo derby perso della sua gestione, Baldini ha ammesso:«Senza risultati è difficile trasmettere il nostro messaggio». Che è quello di uno sviluppo graduale, attraverso la crescita di un gruppo di giovani campioni, che possano portare la Roma ad essere competitiva in pianta stabile. Senza picchi e senza crolli.

Dopo quindici mesi però la Roma è al punto di partenza. (...) Se non fosse per i tre punti a tavolino ottenuti a Cagliari, Zeman avrebbe tre punti in meno rispetto alle prime dodici giornate di Luis Enrique. La media-punti dei primi due campionati è largamente inferiore a quella dell’èra di Rosella Sensi, bistrattata per tanti motivi. La navigazione procede con tante incognite e poche certezze.(...)

LE SCELTE - L’espressione «rivoluzione culturale», accompagnata dalle citazioni letterarie e filosofiche, ha probabilmente creato un alibi alla squadra. Che nel primo anno, dopo le prime sconfitte, ha visto persino comparire in Curva Sud un enorme striscione anonimo («Mai schiavi del risultato»). I dirigenti, nel frattempo, parlavano di una stagione di prova, di una società al numero zero, come se il campionato di serie A fosse uno stage formativo. E così la Roma è uscita per due anni di fila dall’Europa e ha visto uscire di scena l’allenatore su cui assicurava di pianificare il futuro.

Da questo equivoco, cultura versus natura, la nuova Roma non si è più saputa liberare. E le recenti parole di James Pallotta, un manager che conosce bene la logica degli sport americani ma è un po’ meno esperto di calcio italiano, non hanno aiutato Zeman e i giocatori. Se si fissa la vittoria «in cinque anni», si chiede troppo alla pazienza dei tifosi.  (...) Nessuno si sognava di vincere subito lo scudetto, obiettivo indicato da Zeman. Ma nessuno poteva temere di trovarsi a 9 punti - con tre regalati da Cellino - dal terzo posto dopo dodici giornate. Quel piazzamento vale la Champions League e a inizio stagione era stato ufficialmente dichiarato come traguardo da Paolo Fiorentino, consigliere di amministrazione della Roma che rappresenta Unicredit. Fiorentino naturalmente ragiona anche in termini finanziari: se la Roma resta per il terzo anno di fila fuori dall’Europa, è dura prendere il volo.

I TECNICI Seguendo le abitudini del business americano, la proprietà ha delegato ai dirigenti ogni tipo di scelta tecnica. Riservandosi di rimuovere i manager dopo un percorso di almeno tre anni. E così Baldini, direttore generale con i compiti da presidente, ha avuto campo libero nella selezione degli allenatori. Ma in nessun caso è riuscito ad agganciare la prima scelta. Al primo tentativo ha assorbito i rifiuti di Guardiola e Villas Boas, per poi puntare sul quasi debuttante Luis Enrique proprio su suggerimento di Guardiola (l’amico Pep gli deve un favore dopo questa segnalazione...). L’ha difeso fino all’ultimo giorno di lavoro, contro ogni evidenza, difendendo in pratica se stesso. Per convinzione e per un pizzico di testardaggine.

Nel secondo caso ha richiamato Montella, con il quale aveva già programmato le date del ritiro, ma ha rotto con l’interlocutore sui dettagli economici e sulle strategie di mercato. A quel punto, solo a quel punto, Baldini si è rivolto a Zeman (che aveva già annunciato la volontà di rimanere a Pescara), comprendendo che sarebbe stato un nome gradito all’ambiente, che avrebbe potuto rappresentare una scommessa affascinante nella ricerca del «calcio attrattivo» quasi mai visto con Luis Enrique, e che avrebbe rimpinguato le casse della società attraverso gli abbonamenti. (...)

LA PRESENZA DELLA PROPRIETA' - (...) Ma la distanza fisica della proprietà a Trigoria si sente. La Roma non è l’unica squadra del mondo gestita da gruppi stranieri. Ma l’esempio del Manchester United o del Liverpool non vale: sia perché è diverso il contesto culturale, sia perché si tratta di due società che erano già molto strutturate e molto blasonate, sia perché anche in Inghilterra gli americani sono stati contestati nonostante le vittorie. Eccome.

La verità è che in Italia, per una visione romantica o comunque per un’esigenza di identificazione, siamo abituati al presidente vulcanico e irascibile che interviene e che di tanto in tanto fa sentire la sua voce ai giocatori e ai tifosi. (...) La Roma a volte sembra sperduta, senza guida. «Sarebbe meglio se il presidente fosse qui, anche se i dirigenti sono molto professionali» ha ammesso qualche settimana fa Zeman. I giocatori stessi si sentono più liberi di muoversi come credono. Chi esercita il controllo sulle attività quotidiane? Baldini, Sabatini, Fenucci. Tre bravissimi dipendenti. Ma non i padroni. E tra i presidenti delle altre società, che si chiamino Lotito oppure Cellino, piovono parole ironiche: «Chi è il presidente della Roma?». James Pallotta. Che però non c’è mai. E’ stato due volte allo stadio Olimpico (due vittorie: porta fortuna, al contrario del predecessore DiBenedetto che perdeva quasi sempre) e poi è tornato a Boston. Lasciando un vuoto che per i costumi italiani è difficile da riempire.

LA DEFINIZIONE DEI RUOLI - Venerdì in Italia arriverà Mark Pannes, braccio destro di Pallotta e amministratore delegato pro tempore della Roma. Aspettando che venga scelto il famoso supermanager che da mesi deve prendere il suo posto per garantire una presenza stabile a Trigoria, sarebbe opportuno che Pannes chiarisse i ruoli all’interno della società. Al di là delle deleghe operative, che formalmente distribuiscono i compiti, la Roma ha un doppione di tutto: due proprietari (la cordata americana e la banca Unicredit); due amministratori delegati, che in inglese vengono chiamati Ceo (Pannes e Fenucci); due dirigenti che si spartiscono l’area sportiva (Baldini e Sabatini) trasmettendo un’idea di diarchia, più che di scala gerarchica, variabile a seconda dei giorni e delle specifiche conoscenze; due responsabili della biglietteria; due responsabili della sicurezza. Sono entrati inoltre un direttore commerciale, Christoph Winterling, e un direttore dell’area digitale, Shergul Arshad, figure che prima la Roma non possedeva.

(...)

GLI ACQUISTI - Ventotto giocatori e centodieci milioni investiti, con un saldo negativo nel panorama acquisti-cessioni di oltre sessanta milioni. Non si può dire che i dirigenti, dotati di un budget interessante nonostante un bilancio terribile ereditato dalla precedente gestione, siano rimasti fermi sul mercato. In tre sessioni: estate 2011, inverno 2012, estate 2012. Ma la prima stagione è stata insoddisfacente: a causa della lontananza dall’Europa, i conti sono peggiorati (sfiorando i -60 milioni sul bilancio) e sei giocatori su undici acquistati nella prima finestra di trasferimenti, senza contare l’allenatore con il suo staff infinito, sono stati mandati via.

(...) In pratica solo Lamela, Pjanic e (con titubanza) Stekelenburg sono stati confermati. C’è anche Osvaldo, naturalmente. Ma il suo caso è particolare: a lungo è stato vicino alla cessione. Se non fosse arrivato Zeman, probabilmente oggi sarebbe altrove.

Sono tutti da valutare poi i nuovi: da Castan a Piris, che hanno alternato momenti incoraggianti ad altri preoccupanti, da Bradley a Tachtsidis, per non parlare del misterioso Dodò e del portiere Goicoechea. Da promuovere è intanto il giovanissimo Marquinhos, un 1994 che diventerà un top player. Rimandati invece, per ragioni diverse, i colpi principali della stagione: Destro e Balzaretti.

LE PAROLE SU DE ROSSI - E’ difficile pensare che Zeman abbia agito in totale autonomia nella gestione di De Rossi. (...)

Ma prendiamo per buona la libertà di ogni allenatore di far giocare chi ritiene più idoneo alla squadra (con De Rossi in campo, peraltro, la media-punti è stata finora più bassa) e tralasciamo l’aspetto tecnico. Fuori dal campo, i dirigenti hanno utilizzato uno schema comunicativo piuttosto bizzarro. Hanno scelto dichiarazioni forti su una possibile - e lecita - cessione di De Rossi, sia in estate che prima nel derby, salvo poi aggiustare la mira, magari attribuendo alla stampa la colpa di avere interpretato male le parole.

De Rossi ha sbagliato diverse volte, l’ultima prendendo a pugni Mauri, ma almeno è stato schietto, nella conferenza di fine mercato: «Non ho mai chiesto di andare via, ci tengo a dirlo. Quando questo succederà, lo confesserò». (...)