(Corriere dello Sport - G.Dotto) - La Roma di mercoledì sera era talmente bella da sembrare incorporea. Libellule nel gelo.
rassegna stampa
Ieri, oggi e domani è la Roma di Lucho
(Corriere dello Sport – G.Dotto) – La Roma di mercoledì sera era talmente bella da sembrare incorporea. Libellule nel gelo.
Tenute insieme da un filo invisibile. E’ l’immagine che s’impone a rievocare la grazia enorme della squadra di Enrique a Bologna. Totti, De Rossi, Taddei e compagni si erano all’improvviso liberati del corpo che “è pesante e ci tiene a terra”, come capita solo a santi e tarantolati del Sud e come canta Geraldina Trovato in un memorabile pezzo scritto da quel genio che è Enzo Gragnaniello.[...]
Le tracce sparse e qua e là indovinate all’Olimpico con Atalanta e Juventus, tra Novara, Napoli e persino in certi passaggi di Udine e Firenze, si sono ritrovate e hanno danzato tutte insieme. In punta di piedi. Ognuno nel suo stile, da quel meraviglioso tanguero di Erik Lamela, passo sincopato, faccia, nome e sguardo da tango assassino, alle rotonde e rotolanti frequenze di Simplicio, i piedi guantati del malinconico Juan e le rudi falcate da rodeo dei testaccini Osvaldo ed Heinze. Persino Stekelenburg danzava con le sue non so quante mani guantate da Dea Kalì. Leggerezza uguale a ebbrezza. Il piacere di giocare insieme un gioco che sa di retrogusto divino. Una Roma per niente “italianizzata”, tanto per scendere anche noi nella mischia del più demenziale dibattito parolaio di quella città calcisticamente parolaia che è diventata Roma[...]
Abbiamo visto i soliti furbacchioni di casa, ceffi solcati da villanzona burbanza ammonire l’asturiano venuto da Marte: “Sì, caro Luis, arrivano i risultati, ma sappilo, arrivano solo perché ti sei italianizzato”. Tentativo questo sì, molto italiano, molto provinciale, di esorcizzare lo “straniero” venuto a predicare nel pollaio alias deserto di casa (Luis Enrique, si sa, ama i deserti). La Roma di Bologna è al cento per cento la squadra di Enrique, che si balocca con la palla tra i piedi, ma lo fa mille volte più rapida, più dinamica e meno gravata dal corpo del pensiero. Tutto qui. Ridicolizzata anche la storia dell’Enrique integralista. Taddei e Simplicio, due scarti della prima ora, oggi titolarissimi, bastano e avanzano come prova. Tralasciando il fondamentale riverbero che questo ha nello spogliatoio. La squadra sa di potersi fidare di un allenatore e delle sue scelte, qualche volta sbagliate ma sempre oneste.
Il Francesco Totti che s’inventa un mare che non c’è “a mostrar le chiappe chiare” è un uomo felice come da tempo non vedevamo, anche senza gol, solo per essere una stoffa pregiata dell’aquilone. Felice quasi quanto Luis Enrique, che s’inventa, proprio lui l’asceta, un panettone da mangiare, migliaia di calorie da bruciare e altri deserti da attraversare.
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