rassegna stampa

De Rossi e Lucho, le affinità elettive

(Corriere dello Sport – G.Dotto) La Roma riparte questa sera da De Rossi, anche senza De Rossi.

Redazione

(Corriere dello Sport - G.Dotto) La Roma riparte questa sera da De Rossi, anche senza De Rossi.

La firma è stata un parto collettivo con tanto di travaglio, migliaia di ostetriche e lieto fine. L’allenatore sempre più presente e il capitano sempre meno futuro, si sono gemellati nell’unico vincolo di sangue possibile al di là del sangue, l’affinità elettiva. I due, Enrique e De Rossi, sono fatti per intendersi e non se lo mandano a dire. Qualcuno ha storpiato naso e bocca. Lo scopritore delle Americhe di turno ci fa sapere, non senza una certa vanità cartesiana, che lo stipendione riconosciuto al ragazzo di Ostia destabilizzerà l’ambiente, intossicandolo di cattivi umori e ancor più sinistri pensieri. Si annunciano attacchi di bile a Trigoria. Ci sarà chi, magari solo per compiacere i profeti dell’ovvio, si sveglierà una di queste mattine, busserà alla porta di Baldini e chiederà il doppio dell’ingaggio.(...)

Tralasciando le critiche preconcette, buone solo per rinforzare il proprio nome in cartellone nella gazzarra permanente del circo romano, quello che fin qui non è stato abbastanza capito è quanto stiano godendo di questi tempi giocatori e tifosi della Roma. Stanno godendo come pazzi. E volete sapere una cosa? Non lo sanno nemmeno loro quanto. Godono al di là del risultato (aveva proprio ragione la Sud). Godono anche quando l’unica possibilità è di essere affranti, quando ci si suicida a Genova e a Firenze o si frana tra Torino e Cagliari. La stagione del cambiamento è sempre quella dello stupore. La Roma diventerà bella, forse bellissima, ma non sarà mai bella come adesso che sta cercando di diventarlo, qui, ora, sotto i nostri occhi, fragile e forte allo stesso tempo (...)

Troppo facile riconoscere il godimento nella domenica di Roma-Inter, la partita dei due mondi, Enrique e Ranieri, l’allenatore che rischia il baratro per eccesso di visione e quello che il baratro lo vive a tempo pieno per eccesso di realismo. Troppo facile quando vedi undici giocatori che scendono in campo con una sola idea: vogliamo la testa dell’Inter. E la vogliono tutti, insieme, gringos splendidi come Heinze, strepitosi talenti felini alla Juan, pivelli assatanati come Lamela e Borini, ma anche campioni come Totti, mai visto così smanioso e felice al servizio degli altri. Più complicato indovinarlo, il godimento, nei passaggi a vuoto, nelle facce smarrite a Cagliari, in quella di Enrique che resta appeso quasi venti secondi prima di rispondere alla più facile ma anche alla più impossibile delle domande (Perché?).

Ce ne saranno altri di passaggi a vuoto. Sicuro. E sembreranno insopportabili solo a chi dimentica che sulla panchina della Roma c’è oggi un signore che si lascia, eccome, ferire dalle sconfitte. Non certo per ascoltare i propri languori, ma per ripensare quello che è giusto fare, due secondi dopo, perché le cose somiglino a come tu le hai immaginate.