C’è più spazio del solito dietro gli occhiali cerchiati di osso nero. Gli occhi di Federico Balzaretti sono affondati lì dietro una rada appannatura, tra gli zigomi appuntiti e le sopracciglia a veranda, rosi dalla commozione ancora un’ora dopo il palo malefico, accidenti a quello stecco bianco che sta lì a sbaraccare i bei sogni. Il gusto fetente del guano? «Sì, quello che abbiamo mangiato per quattro mesi, noi giocatori e i nostri tifosi. Ne abbiamo mangiato tanto. Adesso basta. Si ricomincia a vivere», come riporta il Corriere dello Sport.Non avevano mai smesso, per fortuna. Altrimenti prima del derby non ci sarebbero state tre vittorie e il primo posto in classifica e un gioco che stordisce avversari di vario ordine e grado. Ma lui, Balzaretti il biondo, Balzaretti lo zingaro della fascia sinistra con la faccia scheletrica e la coda di capelli annodata sulla sommità del capo, se non aveva smesso di campare si era almeno spento in una malinconia ipnotica. «Perché quel 26 maggio è stato il giorno peggiore della mia carriera». Poi che cosa è successo? «E’ arrivato Rudi Garcia. Ci ha detto di stare corti, occupare 30-40 metri in maniera da recuperare più facilmente il pallone. E soprattutto ci ha guardati in faccia e ha visto quanto fossimo a terra, quanto poco ci considerassimo. Ha lavorato su quell’aspetto. Adesso sappiamo di poter disputare una stagione di livello. Per arrivare da qualche parte, ancora non sappiamo dove». Lui vorrebbe arrivare, anzi, ritornare alla Nazionale. «Come tutti. Ma non dipende solo da me. Senza i miei compagni di squadra non sono niente». Non lo dice per piaggeria o retorica. Concepisce davvero questa Roma come un organismo unico che pensa, gioca, agisce e reagisce in armonia. «Non volevo piangere. Ma ho visto De Rossi scoppiare in lacrime. E non ho resistito neppure io». Lui ha seguito De Rossi, la squadra ha seguito lui, «tutti, tutti mi hanno inseguito. Correvo perché la felicità era immensa, incontrollabile, e gli altri mi sono saltati addosso». Era un uomo felice, padre di tre figlie che la sera lo costringono a giocare con loro alla scuola: le ragazzine fanno le maestre e il calciatore fa l’allievo; compagno della ballerina classica Eleonora Abbagnato; improvvisamente si era ritrovato calciatore prepotentemente avviato verso il declino, appesantito nel dribbling, martirizzato da un Biabiany qualsiasi. Il punto debole della Roma rinascente è diventato pietra angolare, autore del gol più importante della stagione, più desiderato dell’anno, il gol che chiunque si è illuso di segnare. Lo ha segnato il buon soldato Balzaretti, apprezzato da Garcia per la disciplina, dalla squadra per la dedizione. «E dalla gente. Non dimentichiamo la gente». Certo che no, soldato.
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Balzaretti: “Grazie Garcia Vero, ho pianto con De Rossi”
C’è più spazio del solito dietro gli occhiali cerchiati di osso nero. Gli occhi di Federico Balzaretti sono affondati lì dietro una rada appannatura, tra gli zigomi appuntiti e le sopracciglia a veranda, rosi dalla commozione ancora un’ora...
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