In un momento non facile per il Paese, di crisi occupazionale e produttiva, la decisione di creare qualcosa è sempre un segnale di speranza. La Roma ha deciso di “produrre” uno stadio, il Suo Stadio. Ponendosi un obiettivo ambizioso: aprirlo fra tre anni. In assoluto, non si tratta di una cosa fuori dal mondo: per costruire un impianto di dimensioni medio-grandi (55-60mila posti, idoneo per ospitare una finale Champions, come è stato sottolineato) un paio di anni sono sufficienti.
rassegna stampa
Il coraggio Usa e il fattore Italia
In un momento non facile per il Paese, di crisi occupazionale e produttiva, la decisione di creare qualcosa è sempre un segnale di speranza.
Ma il problema è quel che viene prima e in quel prima incide il Fattore I. L’Italia è un paese ammalato di burocrazia e da questo punto di vista sia- mo in presenza di un gatto che si morde la coda. Perché per «combattere» la cor- ruzione moltiplichiamo i controlli e allunghiamo le procedure, ma allungando le procedure aumentiamo le occasioni per chiedere, come dice il proverbio, a una mano di lavare l’altra.
Gli stranieri lo sanno così bene che nel nostro Paese investono sempre meno (quest’anno il trenta per cento); gli americani della Roma ci provano. Se il loro progetto entrato da ieri sera, con la scelta dell’area su cui edificare l’impianto, in una fase operativa, sarà coronato da successo avranno non solo messo all’incasso uno stadio nuovo e moderno, ma anche prodotto una piccola rivoluzione nell’italico costume.
Perché la costruzione di uno stadio di proprietà, con finanziamenti tutti privati, in «appena» tre anni avrebbe veramente del miracoloso. La Juve, che è stata la più lesta del reame, ci ha impiegato 11 anni e a Torino la proprietà bianconera (cioè la Fiat) qualcosa ancora conta; a Quartu le ambizioni di Cellino sono legate all’installazione di una cabina elettrica: un investimento da 8,5 milioni di euro che dipende da un marchingegno da trentamila euro. Gli auguri a Pallotta sono dovuti: il suo spi rito d’avventura molto americano, da frontiera da conquistare in un paese in cui ogni ufficio pubblico può nascondere le insidie di Little Big Horn, potrebbe aprire una nuova strada.
Antonio Maglie
corrieredellosport.it
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