(Venerdì di Repubblica - D.Angelino) "Usando la fantasia si può fare tutto". Zdenek Zeman lo sussurra col suo sorriso sornione.
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Zeman: “Totti è un calciatore che fa squadra da solo: spesso, se non sempre”
(Venerdì di Repubblica – D.Angelino) “Usando la fantasia si può fare tutto”. Zdenek Zeman lo sussurra col suo sorriso sornione.
Foggia, San Ciro, il campo di terra battuta dell’oratorio dove sviluppare non solo i muscoli ma anche l’immaginazione. Gol, fuorigioco, 4-3-3 e divertimento; rovinose cadute e risalite entusiasmanti; il calcio affrontato sempre provando a vincere lealmente, mai cercando di non perdere. Zemanlandia. Che non nasce in Puglia ma qualche anno prima, a Licata: "Vincemmo il campionato di C2. Erano tutti ragazzi siciliani che riuscirono a eliminare il Palermo dalla Coppa Italia. Era un undici che divertiva, anche se nelle categorie minori. Obiettivo? Dare un’impronta alle squadre. Penso che spesso mi sia riuscito…". Allietava i tifosi Zeman, e lo fa ancora oggi: piazze e teatri pieni per le sue presentazioni così come gli stadi la domenica.
In controtendenza totale col resto del calcio italiano. Bel gioco e metodi di lavoro romantici, i segreti: allenamenti tra i boschi, sui tremila metri e sui mille, recupero attivo stimolando gli addominali: "Quando si fa la preparazione bisogna lavorare innanzitutto sulla base aerobica e su quella fisiologica: i polmoni e il cuore vanno allenati".
Metodi desueti per molte formazioni di serie A, ormai abituate al solo ritiro breve e pallone: "Si vede che queste squadre la base già ce l’hanno… Io sono convinto che si garantisca solo in questo modo. Ho visto comunque che anche nel centro tecnico di Coverciano stanno ritornando alle stesse distanze che uso io…" commenta serafico.
Sempre, anche quando ci ha rimesso in prima persona, denunciando quel Sistema intollerante alle sue esternazioni certificate dal processo per doping alla Juventus e da Calciopoli: "Penso che nel Sistema qualcosa sia cambiato, anche se ci sono molte cose da migliorare. Esistono tante regole che ancora oggi non vengono rispettate: e invece andrebbe fatto. Se si fosse ligi alle regole poche squadre potrebbero partecipare ai campionati".
Norme infrante anche da Luciano Moggi, il vecchio nemico appena radiato: " Ma se uno tutti i giorni è in tv, alla radio e cura rubriche sui giornali vuol dire che sta ancora nel calcio anche se ufficialmente non c’è più…".
Riparte da Pescara, Zeman. Città che, se interroghi sul pallone, risponde 4-3-3, bel gioco e Giovanni Galeone profeta. Che rivendica come suo il modulo perfetto. Il boemo non si sposta di un millimetro: " Io ho iniziato a giocare in questo modo già nel 1974. Ricordo un torneo con Juventus, Torino e Milan - che schierava Paolo Maldini tra gli esordienti – vinto dal Palermo. Ci chiamavano la piccola Olanda".
Proprio arancione fu il colore del calcio italiano nella seconda metà degli anni Ottanta, quando i sogni berlusconiani furono esauditi con Van Basten, Gullit. E in seguito Rijkaard in campo ed Arrigo Sacchi in panchina, cui Zeman subentrò a Parma.
Luogo comune impone che il calcio del romagnolo e quello del praghese siano simili. Sette secondi di silenzio: <>. Le abitudini non si modificano. Con allenatori che puntano a ingaggi pluriennali e magari alla buonuscita milionaria, per Zeman vale ancora il contratto annuale. A Pescara, anche con un bonus economico, che scatta però solo in caso di promozione diretta in serie A: <> - immancabile sorriso. Fu l’estate del 1966 a portarlo in Italia. Pak Doo-Ik ci umiliava in Inghilterra, Zeman arrivava in Sicilia ospite di zio Vycpalek. Le vacanze estive, l’invasione russa in Cecoslovacchia, l’arrivo definitivo nel 1969 e i tre anni all’Isef.
Ma il pallone è nel destino: "Sono sempre stato nel calcio. Ho iniziato giocando con le giovanili dello Slavia Praga". Da tecnico la scalata verso la serie A e la gloria inizia con i ragazzi del Palermo, ma la gavetta nelle serie minori parte prima: "Un compagno di pallavolo mi chiese se potevo allenare la squadra in cui giocava, il Cinisi. Sono partito da lì, dal paese dell’aereoporto".
La sua idea fissa, pura ed immutabile del calcio come sport prima che grande affare non si sposa ormai da anni con la realtà: " Si possono anche fare i soldi, ma prima bisogna fare sport. Oggi il calcio ha tanti debiti che non so se saranno mai pagati: la metà delle squadre ha problemi a rispettare gli accordi".
Criticato a causa di una presunta idiosincrasia per i campioni – cliché privo di ogni fondamento – non ha dubbi sul fuoriclasse che vorrebbe sempre in squadra: "Per me un giocatore ancora oggi importante è Totti. A prescindere dal fatto che può occupare più ruoli, è un calciatore che fa squadra da solo: spesso, se non sempre". Da allenatore a direttore tecnico il passo è obbligato allo scoccare dei sessantacinque anni: "Finché mi piacerà fare calcio continuerò, ma non dipende solo da me. Vorrei restare in questo sport, con quale ruolo non si sa…". “Il pareggio mai… Tu non lo firmerai...”, cantava di lui Venditti.
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