rassegna stampa roma

Uno schiaffo alla logica

(Corriere dello Sport – A.Vocalelli) – Diciamolo subito, anticipando i violi­nisti in cerca di ingaggio, che la sta­gione della Roma è tutt’altro che finita ieri.

Redazione

(Corriere dello Sport - A.Vocalelli) - Diciamolo subito, anticipando i violi­nisti in cerca di ingaggio, che la sta­gione della Roma è tutt’altro che finita ieri.

Anzi, paradossalmente può essere cominciata ieri: senza il «fastidio» del­l’Europa League, senza gli impegni eu­ropei che peseranno su tutte le altre big italiane, la Roma ha la possibilità e il dovere di puntare dritta dritta a un campionato di altissimo profilo. E’ ben diverso doversi concentrare soltanto su 38 partite, a parte la Coppa Italia, piuttosto che doversi sobbarcare impe­gni e trasferte fuori dall’Italia. Detto questo, che non è poco, bisogna anche dire che Luis Enrique è già en­trato nella storia di questa società. Il resto lo potrà fare con qualche vittoria, qualche trionfo, e glielo auguriamo di cuore, intanto però è riuscito nella fe­nomenale impresa di far fuori la Roma da un preliminare di Europa League. Viene da piangere a ripensare a ciò che facevano trapelare DiBenedetto, Baldi­ni e Sabatini appena quattro mesi fa: sarebbe importante, dicevano, centra­re la Champions League ed è un pecca­to che la nostra avventura non possa partire dalla Coppa più importante. Quattro mesi dopo, quella stessa Ro­ma - anzi, no, una Roma stravolta dalla voglia di stupire che sta contagiando i dirigenti - è fuori, umiliata e mortifica­ta, dalla Coppa di consolazione. Ma sa­rebbe ingeneroso, colpevole, incoscien­te, prendersela con Rosi e Angel, Vivia­ni e Verre, Bojan o Caprari. La Corea della Roma, diciamolo chiaramente, porta la firma di Luis Enrique, che in centottanta minuti, ne ha combinate di tutti i colori. Parliamoci chiaro, anche in questo caso: fosse toccato a un alle­natore italano, fosse stato un giovane allenatore italiano a commettere tutti questi errori, oggi ci sarebbe qualcuno già pronto a invocare le dimissioni. Non il licenziamento, perché una società nuova non può licenziare l’allenatore che ha scelto e imposto. Ma le dimissio­ni sì, perché qui non è in discussione solo il bilancio tecnico, ma anche quel­lo economico e di relazione. Luis Enri­que dovrebbe dare le dimissioni e la­sciare alla società, che lo dovrebbe fa­re, il compito di respingerle. Sarebbe­ro due atti doverosi: un’assunzione di responsabilità del tecnico e un’assun­zione di responsabilità ancora più forte da parte del club. Dopo aver fatto tutto questo, dopo aver rinnovato la fiducia al tecnico, la nuova Roma che pensa di dover pro­muovere il nuovo calcio, dovrebbe pe­rò attingere a piene mani al vecchio calcio. E spiegare a Luis Enrique alcu­ne banalissime cose. Che non si può af­frontare l’andata di un preliminare di Europa League, con la presupponenza, la spocchia, dimostrata una settimana fa a Bratislava. Non si può pensare di stupire il mondo mettendo in campo Caprari e Okaka, per lasciare fuori Tot­ti e Borriello. Non si può poi mettere in campo Borriello, dimezzando il valore di mercato del giocatore. E poi bisogne­rebbe dire a Luis Enrique che non si dimostra la propria forza, la propria au­torevolezza, provando a demolire, con possibilità zero di riuscirci, l’orgoglio e l’immagine di un campione straordina­rio come Francesco Totti. A Luis Enri­que qualcuno dovrebbe spiegare che Marcello Lippi, in un Mondiale, ci pen­sò mille volte (e non lo fece) prima di to­gliere dal campo un giocatore capace di risolvere una partita. Lui, Luis Enri­que, a un quarto d’ora dalla fine di una partita che costerà alla Roma qualche milione di euro, ha invece pensato be­ne di toglierlo dal campo quel giocato­re, sottoponendo l’ambiente a uno choc tecnico ed emotivo. Provate a rispon­dere: quanti, in quel momento, hanno pensato: «Qui finisce male per la Ro­ma ». Sì, perché l’ingiustificata, imme­ritata, assurda sostituzione di Totti, ha fatto cadere l’Olimpico in una sorta di depressione. E, sarà stato un caso, po­chi minuti dopo è arrivato il gol che ha messo la Roma fuori dall’Europa. Di tempo per riparare, come detto, ce n’è in abbondanza. E alla fine dei conti, ribadiamo, questa penosa esibi­zione potrebbe risultare addirittura sa­lutare. Per la possibilità della Roma di concentrarsi sul campionato e per la le­zione che potrebbe avere nell’ambien­te l’effetto di una secchiata gelida. Ba­sta svegliarsi dal sogno di essere i più bravi, per autoincoronazione, basta smettere di ascoltare i trombettieri e tenere piuttosto in considerazione cer­ti allarmi, basta guardare gli occhi di Totti al momento della sostituzione. Lì ci sono le risposte. Perché non è il ca­so, nella Roma, di fare i fenomeni. Ce n’è già uno, in questa società, che si porta dietro la sua storia. E la storia non si costruisce in un secondo o con una battuta a effetto: ma mettendoci, per 20 anni, cuore e gambe. Qualcuno, con colpevole ritardo, a cominciare da oggi, dall’alba della nuova Roma, sarà capace di ricordarselo?