rassegna stampa roma

Una partita contro l'ombra di Rossi e contro tutti

(Il Romanista – T.Cagnucci) Se a Firenze domenica troverete pure Mauro Tassotti non stupitevi: più che Fiorentina- Roma sembra doversi giocare Luis Enrique contro il resto del mondo.

Redazione

(Il Romanista - T.Cagnucci) Se a Firenze domenica troverete pure Mauro Tassotti non stupitevi: più che Fiorentina- Roma sembra doversi giocare Luis Enrique contro il resto del mondo.

Lo aspettano tutti. I neutrali – che non sono neutrali –, quelli da Domenica Sportiva per intendersi, che non vedono l’ora di togliersi dalle palle quest’allenatore che "chissà che si crede di essere", "ché noi in Italia mica abbiamo niente da imparare"; coi nemici della Roma che non vedono l’ora di vedere affogare lui e tutto ’sto famoso "progetto"; con qualche "romanista" che più che pensare alla Roma non vede l’ora di vedere confermate le proprie critiche (e per qualcuno sono più speranze che paure). Dopo la sconfitta a Udine, gli errori evidenti di formazione, il linciaggio per la super esclusione di Osvaldo e tutto l’armamentario che si fabbrica in radio-bar-tivvù a Roma ogni giorno, viene difficile riuscire a immaginare una partita più difficile per l’allenatore romanista. Ma c’è anche di più: Delio Rossi, il nome e il cognome perfetto di un’ombra, del doppio rovesciato di Luis, l’allenatore che sarebbe potuto essere e non è stato, magari e per fortuna soltanto per un salto carpiato.

Come dire, una partita parallela, contro un futuro non accaduto ma che – cambiando soltanto nome e cognome – potrebbe ancora essere. Un passato che non è passato del tutto, in novanta minuti che visti da qui fanno davvero paura. Se dovesse andare male sono in tanti a dire che Luis Enrique, in un modo o nell’altro, rischia di lasciarci mezza panchina: troppo esposto, troppo criticato, troppo eccentrico, troppo naif, troppe formazioni, troppi dubbi. Troppi troppo. Chi conosce l’allenatore della Roma sa che lui, Luis, sta soltanto pensando a come giocare al meglio questa partita, tatticamente, nelle scelte da fare, nelle varianti da apportare dopo Udine e la tempesta. Lui, Luis, non si fa condizionare. Va diritto. Guarda al sole. Va senza compromessi. Va perché ha in testa e negli occhi dove vuole andare. La forza ce l’ha dentro, trovata, scoperta, costruita, imparata in anni di professionismo, in anni di Real e soprattutto di Barcellona. Anche al primo anno da culé era atteso al varco: rari i passaggi dal Bernabeu al Nou Camp, molto più frequenti i viaggi inversi.

In quel primo anno in blaugrana Luis Enrique vinse la Coppa delle Coppe. La svolta ci fu in semifinale, anzi nel ritorno della semifinale contro la Fiorentina. All’andata era finito 1-1, al Franchi erano convinti di fare l’impresa. A Firenze – 24 aprile 1997 - il Barça vinse 2-0 e andò in finale a vincere contro il Psg. A Firenze ci pensò Luis che non segnò, ma che semplicemente giocò: all’andata non c’era. Fu lui la differenza. A Firenze Luis Enrique ha giocato anche in Champions League, nel 3-3 famoso per la rovesciata di Bressan (tanto per non richiamare alla mente Osvaldo), era novembre del ’99. Un paio di mesi prima il Barcellona aveva battuto i viola 4-2 e lui, Luis, segnò la seconda rete. Un gran gol, dopo un’azione personale. L’impressione è che domenica debba riuscire a fare qualcosa del genere. Magari dopo aver smarcato Tassotti.