rassegna stampa roma

Un mister e le sue passioni: surf, maratone e triathlon

(Il Messaggero – M. Ferretti) – Chi lo conosce bene, tipo Ramon Fuentes, il vicedirettore di Telecinco, lo descrive come «un allenatore dal carattere duro, ma sempre pronto al dialogo» e come «un uomo alla continua scoperta di se...

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(Il Messaggero - M. Ferretti) - Chi lo conosce bene, tipo Ramon Fuentes, il vicedirettore di Telecinco, lo descrive come «un allenatore dal carattere duro, ma sempre pronto al dialogo» e come «un uomo alla continua scoperta di se stesso».

Forse è anche per questo che Luis Enrique Martinez Garcia, il tecnico individuato da Thomas DiBenedetto per la panchina della nuova Roma, ama le sfide. Sei anni fa, ad esempio, si presentò al via della maratona di New York e arrivò al traguardo dopo 3 ore 14’09”: un buon tempo, dicono gli esperti del settore, per un non professionista. E due anni dopo, a Firenze, ha chiuso la maratona in 2h57’58”, migliorando nettamente il tempo statunitense. Sempre nel 2007, a Francoforte, ha ultimato il triathlon (3,8 km di nuoto, 180 km di ciclismo e 42,2 km di corsa) in 10h19’30”. Capito il personaggio? Una volta appesi gli scarpini al chiodo, nel 2004, Luis Enrique, 41 anni compiuti all’inizio di maggio, se ne andò in Australia per dedicarsi quasi a tempo pieno al surf e al triathlon. Una botta di nuova vita, dopo tutti gli anni, una quindicina, trascorsi sui campi di calcio. Poi, però, pian piano la passione per il pallone si è fatta (ri)sentire e Luis Enrique ha cominciato ad accarezzare l’idea di fare l’allenatore. E, ovviamente, ha iniziato la sua nuova carriera al Barcellona, la società del suo cuore.

E’ nato a Gijon, in Asturia, primi calci veri nello Sporting (stipendio annuale di 20 mila pesetas), ma la sua terra promessa è la Catalogna. All’età di 14 anni si presentò al Barça per un provino, ma non venne preso perché pur di non saltare il test andò in campo un po’ malconcio e la sua prestazione non fu convincente. Tutto rinviato al 1996, dopo una parentesi di cinque stagioni addirittura al Real Madrid, la nemica giurata del Barça. Una curiosità: Luis Enrique ha firmato il suo primo contratto (a parametro zero) con il Barça in una saletta privata dell’aeroporto El Prat de Llobregat di Barcellona. E a Barcellona, alle 18,30 in punto del 27 dicembre del 1997, scortato verso l’altare dal suo compagno di squadra Pep Guardiola, Luis Enrique ha sposato Elena Cullell, che lavorava come hostes di terra all’aeroporto di Barcellona, nella Chiesa di Santa Maria del Mar, nel quartiere de la Ribera, l’esempio più bello e più puro del gotico catalano. Dalla loro unione sono nati tre figli: Pacho, Sira e Xana, la più piccola che a fine novembre compirà due anni. Ha un legame fortissimo con il fratello Felipe, ex calciatore dilettante, con il quale condivide la passione per la maratona e il triathlon. Sua sorella si chiama Argen, il papà Luis ha fatto per anni il camionista in giro per la Spagna e l’Europa, la mamma Nely la sarta. E’ stata lei a dare al figlio il nomignolo Lucho, come tutti ormai chiamano Luis Enrique. Ha due tatuaggi sulle braccia: i nomi dei figli in cinese su quello sinistro e un disegno sull’altro. Ama il colore rosso, odia il formaggio e va pazzo per la fabada asturiana, una sorta di zuppa di fagioli molto apprezzata dalle sue parti. Ma, stando attentissimo al proprio fisico, sta molto attento anche all’alimentazione. «Fisicamente sta meglio adesso di quando giocava», sentenzia l’amico Fuentes. Recentemente, Luis Enrique, che fa parte del Real Ordenal al Merito Deportivo per la medaglia d’oro vinta con la Spagna alle Olimpiadi del 1992, ha donato in beneficenza le 76 maglie che negli anni da calciatore ha scambiato con altrettanti avversari. Da allenatore, una domenica non ha fatto giocare il più bravo della squadra soltanto perché in settimana si era presentato all’allenamento in ritardo di dieci minuti.

C’è chi lo definisce ombroso, poco incline al sorriso ma, in realtà, la sua è una maschera legata al ruolo di insegnante di calcio. I paragoni con Guardiola gli fanno piacere, ma fino a un certo punto: lui si considera un tecnico di valore, non il fratello minore dell’allenatore due volte campione d’Europa. Ecco perché ha scelto di lasciare Barcellona e il Barcellona. E l’ennesima sfida non lo spaventa; anzi, lo esalta.