rassegna stampa roma

Un manager che ama giocare in difesa

(Gazzetta dello Sport-M.L.Pegna) Dal telefono, la voce di Thomas DiBenedetto è molto cordiale. La registrazione sulla sua segreteria invita a lasciare un dettagliato messaggio e «vi richiamerò non appena mi sarà possibile» ,

Redazione

(Gazzetta dello Sport-M.L.Pegna) Dal telefono, la voce di Thomas DiBenedetto è molto cordiale. La registrazione sulla sua segreteria invita a lasciare un dettagliato messaggio e «vi richiamerò non appena mi sarà possibile» ,

dice. Ma in questi giorni deve essere molto occupato, perché non lo farà. Triangolo scaleno Il viaggio inizia dal suo ufficio, al 198 di Tremont Street, una delle vie più famose di Boston, che è solo un recapito postale dentro il palazzo della Ups. Poi, Leo Iacovone, la mia guida abruzzese di Lettomanoppello (provincia di Pescara), mi porterà al North End, il quartiere italiano della città. Da dove proseguiremo, con un tragitto al contrario in una sorta di ritorno al passato, fino all’adolescenza del giovane Tom, per poi fermarci davanti agli studi di altri due soci della cordata. Una sorta di triangolo scaleno bostoniano (con appendici però anche in California e in Florida) con un perimetro lungo non più di una decina di chilometri che unisce luoghi e personaggi. Parlano in pochi, chi lo fa non racconta tutta la verità, come se sulla vicenda fosse calata una misteriosa foschia. Simpatico e intelligente L’appuntamento è al Caffé dello Sport su Hannover street, dove Michael Spencer, il genero di Angelo (da Bergamo) proprietario di quel luogo di culto per il calcio tricolore, millanta di aver conosciuto Tom: «Non è un cliente regolare, però ogni tanto si fa vedere. Come lo descriverei? Simpatico, intelligente. È uno che prima di investire un dollaro, scava e ricerca tantissimo. Credo che i Red Sox quando hanno acquistato il Liverpool si siano affidati a lui per le consulenze sulla materia» . Prendo nota. Con Leo scavalchiamo il modernissimo ponte a un passo dal Garden, dove si esibiscono i Celtics, e dopo un po’ siamo nel cuore di Everett, cittadina ai margini di Boston, negli Anni ’ 50 popolata quasi esclusivamente da italiani. Tanti abruzzesi, molti figli di Orsogna (Chieti) e un numero esuberante di DiBenedetto, non tutti, però, legati fra loro da parentela. Tom se n’è andato da tempo, ma la sua vecchia casa è ancora lì, al 36 di Thorndike street, triste e modesta, circondata dai piloni di un’enorme centrale elettrica. Distante anni luce dai milioni della finanza e dalla villa di Fort Myers in Florida, immersa nella pace di un Country Club.

Bibliotecario Neppure il bibliotecario suo coetaneo si ricorda di lui: «Sono di un posto vicino» , si giustifica. Ma riemerge poco dopo con gli annuali della Everett High School. Bingo. Tom si è diplomato nel 1967, c’è la foto di un 17enne incravattato e ben pettinato, lo sguardo che punta lontano e il giudizio del preside che spiega il suo sogno: «Tommy vorrebbe diventare un manager e sono sicuro che in quel campo sarà il numero uno» . Scorrono le pagine e si evidenziano le sue passioni. Prima c’è Tommy piegato in avanti, nella tipica posizione del giocatore di football: il solito ciuffo ben curato e quello sguardo che vaga chissà dove. Poi lo ritraggono con la canottiera numero 12 della squadra di basket assieme ai compagni. C’è un comune denominatore in quelle foto antiche: la totale assenza di un sorriso. Dagli articoli si intuisce la sua dote migliore sul campo: la difesa. Narrano le cronache dell’epoca: «DiBenedetto è stato bravissimo nella fase difensiva con Visconti e Del Monte in questa partita di football» . E poi ancora: «DiBenedetto, Ivery e Dolan hanno giocato benissimo in difesa contro la North Quincy High School: la nostra miglior partita di basket della stagione» . Ma i Crimson Tide della Everett non erano dei fenomeni di entrambi gli sport: «Campionato con alti e bassi» , a basket; «Stagione fosca» , riferito al football.

Omertà Un amico ben introdotto nelle associazioni italo-americane non lo ha mai sentito nominare. Di nuovo il buio. Poi, però, compare il nome di un suo compagno di classe: Fernando DiBenedetto (solo un caso di omonimia), che preferisce tacere. Suo fratello Franco nato a Orsogna, vive ancora a Everett e scherza: «Riprovo a chiedere, ma non vuole parlare» . Omertà. In pochi minuti siamo di nuovo nel centro di Boston, alla sede dell’altro socio, Michael Ruane, al 28 di State street dentro un edificio zeppo di uffici. La security non fa passare chi non ha appuntamenti. Poi le tracce si perdono di fronte ai moli del porto dove scoppiò la rivoluzione. Esattamente al 50 di Rowes Wharf, il lussuosissimo palazzo di Jim Pallotta, il quinto uomo della cordata, apparso solo pochi giorni fa, ma il più noto del gruppo. Fecero scalpore nel 2007 l’acquisto della sua megavilla da 21 milioni di dollari nei sobborghi più ricchi e i 100 mila dollari di multa pagati per aver insultato l’Nba nel ruolo di comproprietario dei Celtics. Una segretaria si appunta il numero: «La faccio richiamare» , dice. La stessa cordialità di Tommy e lo stesso risultato: silenzio. Mentre a Roma si decideva tutto.