rassegna stampa roma

Tre americani a Roma: John Mara, Steve Tisch, Woody Johnson

(Il Manifesto – S. Pianegiani) – Il processo di vendita più lungo del mondo nell’ambito delle società professionistiche di calcio, quello inerente all’AS Roma, potrebbe essersi concluso positivamente nelle scorse settimane.

Redazione

(Il Manifesto - S. Pianegiani) - Il processo di vendita più lungo del mondo nell’ambito delle società professionistiche di calcio, quello inerente all’AS Roma, potrebbe essersi concluso positivamente nelle scorse settimane.

In barba ai bookmakers inglesi, che sembrano puntare sulla soluzione più invisa ai sostenitori giallorossi, il controverso imprenditore Giampaolo Angelucci (definito, affatto amichevolmente, nei forum dei tifosi “il portantino”), sembra certo che proprio l’AS Roma, giunta negli anni ad un passo dal magnati russi e americani, sia la prima società di calcio di spicco a passare in mani straniere. Se lo è lasciato sfuggire persino il brasiliano triste Adriano, perfetta reincarnazione del Candido di Voltaire, intervistato dai media brasiliani in merito alla sua permanenza in una società alle prese con ormai cronici (seppur condivisi da molte squadre) problemi di ritardo nei pagamenti ai dipendenti: “Si risolverà tutto, presto la società verrà acquistata da un americano”. Due anni e mezzo or sono una dichiarazione del genere avrebbe scatenato un uragano mediatico in una Roma, sponda giallorossa, immalinconita dall’auto-finaziamento e dai mercati a costo zero imposti dallo stato comatoso delle casse ItalPetroli, holding della famiglia Sensi oberata dai debiti. Allora il crocevia dei destini della squadra di Totti era lo studio legale Tonucci & Partners, presso cui la merchant bank Inner Circe Sport aveva depositato l’offerta di 283 milioni di euro, finanziata dal fondo di George Soros. Non se ne fece nulla, chi dice per il troppo amore verso i colori giallorossi da parte di una Rosella Sensi da poco al timone della società lasciatale da un padre in precarie condizione di salute, chi per un goffo bluff per spuntare altri soldi, sotto forma di un rilancio da parte di un fantomatico sceicco arabo.

Strano però che l’amore per i colori giallorossi non sia stato un fattore determinante quando Rosella Sensi, l’anno seguente, trattò per mesi con l’agente Fifa Vinicio Fioranelli, salvo poi accorgersi, in extremis, dell’inconsistenza delle risorse economiche dell’interlocutore svizzero (condannato a pagare 200mila euro dalla Consob per turbativa di mercato).

Ora che la sorte dell’AS Roma è nelle mani di Unicredit, presa lo scorso luglio a garanzia del debito mai onorato da parte della holding che fu di Franco Sensi, in una specie di dejà vu, Tonucci & Partners torna ad essere il crocevia dei destini della squadra che negli ultimi anni ha conteso praticamente da sola la leadership della Serie A all’Inter cannibale di Massimo Moratti. Presso lo studio legale sembra siano rappresentate due delle offerte non vincolanti pervenute sul tavolo di Unicredit, ambedue statunitensi. Lo stretto riserbo imposto da Unicredit e dall’advisor Rothschild sulla vicenda, degno della fusione tra due multinazionali più che della cessione di una squadra di calcio, fa sì che ancora non ci sia la certezza dell’identità dei due possibili acquirenti, anche se tutto fa ritenere che le due offerte a stelle e strisce sarebbero le preferite della banca di Piazza Cordusio. La crisi economica che ha investito i mercati mondiali (e arrivata - magari con ritardo - ma con estrema violenza in Italia), non permette ad imprenditori nostrani in cerca di visibilità di soddisfare la richiesta minima di 150 milioni di euro. Viceversa, a smuovere l’interesse straniero, oltre all’appetibilità universale del marchio Roma, sarebbe proprio la possibilità, finalmente concreta, di costruire uno stadio di proprietà che andrebbe ad aumentare sensibilmente il valore di un investimento altrimenti volatile, legato com’è ai destini sportivi della squadra.

Della prima offerta made in Usa si conosce poco, anche se si sussurra che il nome dell’imprenditore coinvolto sia di assoluto rilievo, tanto da far ritenere a molti che dietro di essa si celi il vero favorito a procedere all’acquisizione. Qualcuno fa coincidere il ritorno nella capitale dell’avvocato newyorkese Joe Tacopina, già coinvolto nella fase di start-up del fallito assalto alla Roma del pool Ics/Soros, come un possibile ritorno in scena del magnate di origine ungherese che fece sognare i tifosi della Roma. Tacopina, solitamente ciarliero e a proprio agio con taccuini e telecamere, ha scelto stavolta di restare in silenzio, forse per non violare l’accordo di strettissima privacy che hanno sottoscritto i concorrenti al pacchetto di maggioranza della società giallorossa.

L’altra offerta sembra sia stata portata all’attenzione di Rothschild e Unicredit da una cordata a stelle e strisce composta principalmente da John Mara e Steve Tisch (padroni dei New York Giants) e di Woody Johnson (owner dei Jets), pronti ad esportare la loro esperienza nel ramo del merchandising, settore in cui la National Football League avrebbe parecchio da insegnare alla Lega Calcio e a replicare quanto accaduto a East Rutheford, nel New Jersey, dove una joint venture paritaria ha consentito loro di costruire il nuovo stadio di Meadowslands, che ora ospita le partite delle due franchigie della Grande Mela. Strano notare che l’alleanza finanziaria tra le due squadre di football di New York, anche se non rivali (nella NFL le rivalità, più che cittadine, sono di appartenenza alla medesima Conference), abbia portato uomini dalla cultura e dalle convinzioni diverse ad investire per un ritorno economico a medio termine, cosa impensabile in Italia.

Steve Tisch è un imprenditore liberal, legato soprattutto alla produzione cinematografica e televisiva, noto per aver lanciato Tom Cruise in Risky Business ma anche per i successi Forrest Gump e La Ricerca della Felicità di Gabriele Muccino; d’altro canto Woody Johnson è un repubblicano vecchio stampo, prodigo finanziatore della campagna di McCain e del Grand Old Party, con dietro una potenza come la Johnson & Johnson.

Sembra che chi la spunterà tra queste due offerte sarà il futuro proprietario della Roma. La banca di piazza Cordusio terrebbe in panchina il fondo arabo Aabar, azionista “forte” di Unicredit, forse coinvolto nella gara allo scopo di alzare l’asticella delle offerte non vincolanti, restato in silenzio totale nel corso dei mesi e irraggiungibile per possibili commenti. Solo tribuna invece per Giampaolo Angelucci, la cui offerta e piano industriale verrebbe ritenuta inadeguata dalla banca, preoccupata altresì dal ritorno di immagine negativo che comporterebbe cedere l’AS Roma ad un imprenditore alle prese con guai giudiziari del suo gruppo (lo scorso novembre, nel silenzio dei media, la Corte dei Conti ha confermato il sequestro conservativo di sei case di cura del Gruppo San Raffaele per accuse di truffa al servizio sanitario nazionale per fatture contestate per oltre 100 milioni di euro) e malvisto dal caldissimo pubblico romanista, forse per solidarietà a Milena Gabanelli, che nella trasmissione di Fazio e Saviano ha ricordato la cifra record richiesta dal Gruppo Angelucci come risarcimento per le inchieste di Report sulla sanità.

La consistenza delle offerte americane affidate allo Studio Tonucci avrebbero convinto Unicredit ad attendere, per il closing dell’operazione ulteriori, finali approfondimenti sullo stato dei conti dell’AS Roma richiesto dopo l’invio della Vendor Due Diligence. Lo spostamento della data in cui attendere le offerte vincolanti non sarebbe quindi dovuto alle incombenti feste natalizie – certo non una novità del calendario - ma alla necessità di mettere a punto la cifra e le modalità del passaggio di consegne che comunque non avverrebbe prima della fine del mercato di riparazione, anche per non mettere in imbarazzo la nuova proprietà di fronte alla tifoseria. Unici ostacoli alla chiusura definitiva sembrano essere le incertezze degli americani sui tempi di approvazione della legge che dovrebbe facilitare l’iter di realizzazione degli stadi di proprietà, legge che ha subito un nuovo e non del tutto inatteso stop in commissione cultura alla Camera. Il relatore Fli Barbaro -tra l’altro tifoso romanista- tace “per amor di patria” sui motivi del rinvio, anche se pare che le limitazioni imposte alla cubatura e alle limitazioni commerciali inerenti agli impianti di proprietà, siano mal viste dalla sempre potente lobby dei costruttori. Tanto l’approvazione, quanto il contenuto della legge, torna a questo punto in discussione. Altra preoccupazione dei possibili acquirenti le conseguenze del fair-play finanziario imposto da Platini e che la Uefa introdurrà dalla stagione 2013-2014. C’è da tenere il monte ingaggi sotto controllo ed è (anche) per questo che il mercato di gennaio vedrà impegnato il responsabile del mercato Pradé a piazzare i giocatori in esubero. Julio Baptista, presentato con troppa enfasi come grande colpo di mercato e retrocesso nelle gerarchie sia di Spalletti che di Ranieri, ha già salutato la compagnia accasandosi a Malaga.

Vedremo accalcarsi, nella sempre ben frequentata tribuna autorità dello Stadio Olimpico, tre facoltosi imprenditori statunitensi, magari sgomitando per avere maggiore visibilità? Improbabile. Ad affiancare gli investitori a stelle e strisce della East Coast e diventare così il ventiduesimo Presidente della Roma, secondo insistenti rumors, sarebbe infatti una vecchia conoscenza tra i pretendenti al trono di Rosella Sensi, cioè l’imprenditore farmaceutico Francesco Angelini.

Senza il sostegno del suo gruppo, che sarebbe tenuto fuori dall’acquisizione per non rischiare alle tre figlie femmine un destino analogo a quello della ItalPetroli smembrata e finita in mano alle banche, Angelini sarebbe l’ideale partner per aiutare un pool di imprenditori così lontani dalla mentalità italiana a districarsi nelle beghe burocratiche di enti locali e di una Lega Calcio molto, troppo sensibile ai consolidati equilibri finanziari e politici. Senza contare che, con la soluzione-Angelini sarebbe salvaguardata la “romanità” della guida societaria, preoccupazione più delle alte sfere finanziarie che dei tifosi, che continuano a sognare un magnate magari apolide, ma con le tasche alla Eta Beta: infinite e piene di denaro contante.