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Totti: È il momento dei campioni

(Il Romanista – C.Zucchelli) Come definire in cinquanta righe la leggenda? Partendo dai numeri, forse, che dicono che per 258 volte in carriera ha fatto esultare i tifosi della Roma.

Redazione

(Il Romanista - C.Zucchelli) Come definire in cinquanta righe la leggenda? Partendo dai numeri, forse, che dicono che per 258 volte in carriera ha fatto esultare i tifosi della Roma.

Oppure partendo dal rac- contare quel recupero al limite dell’area della Roma a metà del secondo tempo che Beckenbauer e Baresi (o anche l’amico Mexes, che a casa sarà saltato dal divano con tutto il tutore) avrebbero soltanto da imparare. Oppure, ancora, partendo dal suo buonumore in albergo a poche ore dall’inizio della partita. Come se lui, la leggenda, al secolo Francesco Totti da via Vetulonia (cuore di Ro- ma e per Roma) già sapesse come sarebbe andata a finire. «Ci penso io», sembrava dire con quell’occhiolino fatto a un bambino che vo- leva il suo autografo alle 5 del pomeriggio, proprio mentre la squadra terminava la merenda. Pietro, il nome del fortunato ragazzi- no in questione, un giorno potrà raccontare ai nipoti (ma perché aspettare? Può farlo già omani con i compagni di scuola) di aver co- nosciuto il Capitano nel giorno dell’ennesi- ma doppietta in Serie A: la terza in quattro partite, dopo quelle contro Lazio (olè) e Fio- rentina. Sei gol in trecentosessanta minuti, per un totale di 203 in serie A, a meno due da quell’altro grande campione che si chiama Roberto Baggio. Campioni, roba da Dna. Lo spiega Totti: «Nel momento cruciale escono fuori i grandi giocatori. Ecco perché ho scelto di fare il “cucchiaio”». Sotto la Sud, ovviamente. Co- lorata da pochi ma felici ed orgogliosi roma- nisti. Il pallone, come tante altre volte in car- riera, era pesantissimo. Sembrava quasi di sentirli, certi personaggi del malaugurio, di- re «non è mai decisivo...» (non certo Mon- tella, che pure nel pomeriggio aveva imma- ginato un rigore fallito proprio da France- sco). E invece, quel pallone che viaggiava verso la rete “a zero all’ora”, che sembrava non entrare mai, ha zittito tutti. Al Fiuli e non so- lo. L’ultima volta che aveva fatto “lo scavi- no”, su rigore, era stato il 23 dicembre 2007: anche allora, alla Sampdoria quella volta, ne fece due. «Questa doppietta è pesantissima – ammette a fine partita, mentre il Friuli lo continua ad insultare – soprattutto perché porta tre punti pesanti che vogliono dire Champions. Eravamo venuti qui per vincere e lo abbiamo fatto». La Roma aveva un obiet- tivo, perché una squadra così deve per forza di cosa stare nell’Europa delle stelle, e non poteva essere che lui a tracciare la via: «Volevamo dimostrare a tutte le squadre italiane che ci siamo ancora. Volevamo vincere, do- vevamo farlo per reagire alla sconfitta contro la Juventus». Quella è ormai acqua passata. Non certo la sua voglia di dimostrare a quei pochi (fosse anche uno solo, sarebbe troppo) che perdono ancora il loro tempo a criticar- lo, che la sua fine è ancora lontana: «Certe co- se mi hanno fatto male. Neanche a 20 anni fi- sicamente stavo come adesso». E ride, illu- minando la notte di Udine. «Lo ripeto: ci tenevo a dimostrare che non sono finito». Le leggende sono eterne. Punto e basta