rassegna stampa roma

Tessera del tifoso e altri abusi

(Il Romanista – M.Macedonio) – Non è proprio uguale per tutti, la legislazione che, a colpi di ulteriori inasprimenti ,si è andata affermando in questi anni per quanto riguarda gli stadi.

Redazione

(Il Romanista - M.Macedonio) - Non è proprio uguale per tutti, la legislazione che, a colpi di ulteriori inasprimenti ,si è andata affermando in questi anni per quanto riguarda gli stadi.

Troppo abnorme e sproporzionata la punizione che viene inflitta rispetto a ciò che viene commesso. Non dimenticando il vero e proprio abuso di potere che a volte viene perpetrato. Una casistica che conta ormai migliaia di episodi. Che non fanno notizia, anche quando la meriterebbero, tanto è spropositata – e in molti casi, forse, addirittura anticostituzionale - la sanzione, ma, verrebbe da dire, l’intervento stesso. Si potrebbe cominciare con il sequestro di volantini assolutamente legittimi, effettuato senza verbale di sequestro, in cui si illustravano le modalità per disdire la “tessera del tifoso”. Una delle cose più odiose perché non frutto dell’iniziativa del singolo poliziotto, magari poco ortodosso, che sta in strada e che, anche sbagliando o per convinzioni personali, agisce in tal modo, ma è determinata a livello più alto. E costituisce una forma di “violenza” e di antidemocraticità, ancor più pericolosa della manganellata che il poliziotto può dare, anche per sbaglio. Lo stesso dicasi per quegli abusi che impediscono l’esposizione di striscioni, che pure rientrano nella libertà di manifestazione del proprio pensiero, solo perché vanno contro gli intenti governativi. Va quindi bene lo striscione, su un pezzo di carta verniciato, per l’amico che è morto; non va bene quello che riporta la scritta “No alla tessera del tifoso”, concetto perfettamente lecito, che dà invece luogo a provvedimenti di tipo restrittivo. Eclatante il caso di quei tifosi della Samp, puniti per aver esposto uno striscione con l’articolo della Costituzione che tutela la libertà di pensiero! Numerosi, poi, gli episodi che vedono protagonisti singoli poliziotti o singole operazioni di polizia, a loro modo discutibili. Un altro esempio? La diffida inflitta a dei ragazzi che non avevano pagato il biglietto del treno. E poiché la casistica si applica alla persona pericolosa e non a quella che tiene un comportamento semplicemente non consono, va da sé che non è giusto applicarla a quei casi che prescindono dalla pericolosità in occasione di una manifestazione sportiva. Se non pago il biglietto del treno, vi sono gli strumenti, legali, per intervenire. A cominciare dalla sanzione amministrativa che viene erogata in questi casi. L’attuale normativa prevede invece che il provvedimento possa estendere la propria possibilità di intervento, fino a ricomprendere tutti quei comportamenti che sono, anche solo indirettamente, connessi allo svolgimento di un evento sportivo. E nei quali, invece, non sarebbe lecito infliggere un Daspo. Perché se io sono uno che abitualmente non paga il biglietto del treno, poco conta se sto andando allo stadio o da qualche altra parte. Anche perché, allora, la stessa sanzione dovrebbe riguardare tutti quelli che, sul treno, il biglietto non lo pagano, ma tutto si sognano meno che di andare a vedere una partita. C’è da aggiungere che il risentimento, ormai diffuso in molti settori dello stadio, nasce anche perché il Daspo, in quanto misura di prevenzione, impedisce l’accesso a determinate professioni. E averlo avuto, magari per una cretinata, fa sì che, ad esempio, non si possa fare il pompiere o partecipare ad un concorso pubblico. Con i danni che ne conseguono, anche sul piano personale, nella vita futura. Si fanno, insomma, pericolose distinzioni tra persone che commettono reati. Se uno è catalogato come "tifoso" non è considerato come un qualsiasi cittadino. Se io litigo al pub – ed è accaduto anche questo – con il tifoso di un’altra squadra con cui sto seguendo la partita in televisione, non mi si può applicare il Daspo. Perché i motivi per litigarci possono essere mille, da uno sguardo dato alla mia ragazza all’avermi urtato mentre bevo una birra, o “anche” perché la mia squadra ha segnato un gol ad un’altra, ma non per questo devo essere passibile di un provvedimento del genere. Non si può confondere il motivo di una lite con il suo effetto. Ci sono poi gli episodi di gestione dell’ordine pubblico. E che quest’anno hanno toccato spesso anche i tifosi della Roma. Ovvero, l’essere rimandati a casa dalla città in cui si va. E’ successo con Bologna-Roma. L’unico divieto che viene applicato in questi casi è quello di vendita del biglietto a chi risiede nella regione Lazio. Ma nulla poteva impedirmi di andare ugualmente a Bologna e, magari, sedermi su una panchina e ascoltare la partita alla radio. Parliamo di una forma di dissenso, del tutto lecita se non si trasforma in una manifestazione non autorizzata, che è stata invece repressa, un po’ dovunque in Italia, con provvedimenti coattivi, che hanno spesso dato luogo anche a cause con richiesta di risarcimento dei danni. Di episodi che vedono protagonisti tanti ragazzi, ce n’è una quantità. Prendiamo il caso di un ragazzo che accenda un fumogeno giallo e rosso, a scopo unicamente folkloristico. Per la gioia di un gol o per l’ingresso in campo della squadra. Qualcosa che avviene da sempre. La stessa pubblicità della Nazionale presenta delle torce accese e, non di rado, vi sono telecronache che elogiano le curve (un esempio, quella della Sampdoria) per gli spettacoli pirotecnici. Le conseguenze, in questi casi – e parliamo della semplice accensione del fumogeno, non certo del lancio, che ha una sua obiettiva pericolosità – sono, come ci ricorda l’avvocato Lorenzo Contucci, che di vicende di questo genere ne ha seguite a migliaia: l’arresto; il Daspo, da uno a cinque anni, con o senza obbligo di firma; il processo per direttissima, al termine del quale scatta una condanna penale, che può andare da tre mesi a tre anni. Con ulteriore Daspo giudiziario, da due a otto anni, e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Oltre a questo, a tempo indeterminato o – se si vuole dar retta a quanto sostiene il Ministro Maroni – per altri cinque anni, non si possono avere titoli di accesso agli stadi. Facciamo il caso di un ragazzo, al quale il questore infligga – come generalmente accade – due anni. A questi vanno aggiunti i due che vengono inflitti dal giudice nella sentenza di condanna, con obbligo di firma presso il commissariato quando gioca la sua squadra, più altri cinque di interdizione all’acquisto dei biglietti. Fanno un totale di nove anni, durante i quali una persona, per aver solo acceso un fumogeno, non può più andare allo stadio. Come dire che il Daspo, come minimo, si triplica, attraverso i vari passaggi. Se la pericolosità di un soggetto viene determinata dalla questura, vuol dire che quando termina il Daspo, la questura non mi ritiene più pericoloso. E allora, se ho già scontato la pena, perché un successivo Daspo giudiziario e l’impossibilità di acquisto dei biglietti per altri cinque anni? E tenuto conto che la maggioranza dei Daspo è inflitta per simili motivi, spesso futili, è per questo che si crea un corto circuito. Ed è questo che spinge tanti a non fare la tessera del tifoso e a non abbonarsi. Ieri ricordavamo sul nostro giornale l’episodio del ragazzo punito per aver scavalcato una vetrata all’interno dello stadio. Ce n’è un altro, che riguarda un ragazzo che in un momento di assoluta tranquillità, ha scavalcato la recinzione esterna dello stadio dei Marmi, ed è stato a sua volta punito con un primo Daspo del questore, quindi quello giudiziario, e poi cinque anni di divieto di acquisto del biglietto. Che pare, francamente eccessivo, se non aberrante. Come sostengono molti esperti di diritto, parliamo di palese violazione dei diritti. Perché lo stadio non è un luogo extraterritoriale. E come non deve esserlo per i tifosi, non può esserlo per le leggi. Ma ne parleremo ancora.