rassegna stampa roma

Studio, regole e pallone: ecco la Masìa

(Il Messaggero-F.Persili) Non solo Luis Enrique e Ivan De la Peña, ma cultura della vittoria e senso di appartenenza. C’è un filo blaugrana (e un po’ olandese) che lega il nuovo progetto sportivo della società giallorossa al Barcellona.

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(Il Messaggero-F.Persili) Non solo Luis Enrique e Ivan De la Peña, ma cultura della vittoria e senso di appartenenza. C’è un filo blaugrana (e un po’ olandese) che lega il nuovo progetto sportivo della società giallorossa al Barcellona.

Tutte le strade portano alla Masìa, la “masseria”, in catalano, una residenza settecentesca che dal 1979, su suggerimento di Cruyff all’allora presidente Nuñez, si è trasformata da sede del club a nido delle giovanili del Barça. «Chi cresce qui ha qualcosa in più», giura Pep Guardiola, che alla Masìa, è entrato nel 1984, e da allenatore ha vinto la Coppa Campioni con otto giocatori su undici provenienti dal settore giovanile. «Gli altri, i palloni d’oro li comprano, noi, li costruiamo», l’idea di Johan Cruyff, spiega non solo la cura nella crescita del fenomeno Messi ma scava le radici di una filosofia che risale agli anni Settanta. Quando in Catalogna arriva Rinus Michels, il santone del calcio totale. Il modello Ajax forgiato nella zona-press e nell’invenzione “dello spazio flessibile” si mescola al tiqui-taca culè fondato sul possesso palla per diventare una nuova alfabetizzazione tattica. Tutti in difesa, tutti in attacco: l’alfa e l’omega di un gioco a tutto campo, veloce perché prima sa essere tecnico. “Pase y control”, passaggio e controllo di palla, un principio non negoziabile quando Cruyff siede sulla panchina del Barcellona. «Ogni squadra che tratta bene il pallone, tratta bene gli spettatori».

Geometrie variabili e movimento negli spazi secondo una sola necessità: fare gol. Cruyff attinge dal settore giovanile, lancia, tra gli altri, anche De La Pena e Guardiola, in quel Dream Team che avrebbe poi accolto anche Luis Enrique. La “Masìa” diventa la migliore garanzia per assicurare continuità tecnica, un luogo, anche dell’anima, che tramanda il credo calcistico del club. I ragazzi sono, infatti, abituati fin da piccoli alla responsabilità di costruire il gioco e chiamati ad interpretarlo con creatività, all’attacco. Anche se poi, dal vivaio escono difensori fortissimi (Alexanco, Puyol, Piquè) e grandi centrocampisti (Xavi, Iniesta, Busquets, Fabregas) mentre le punte (Lineker, Stoichkov, Romario, Ronaldo, Eto’o, Ibrahimovic, Villa) vengono spesso da fuori. Alla Masìa si entra a far parte della “grande famiglia” del Barcellona, ha detto Xavi, che aveva iniziato come centravanti e qui ha imparato a giocare a centrocampo. Tredici squadre, e più di 200 atleti.

Scuola, studio, pallone. Amicizia e patti chiari: niente alcool, né telefonini a tavola, fino a 18 anni sono vietati anche piercing, tatuaggi e capelli colorati. Regole e organizzazione, valori e gioco di squadra. Il passo da fare è sempre in avanti. Dopo la trafila, la prova generale si fa con il Barcellona B, che negli ultimi tre anni è stata plasmata da Luis Enrique ad immagine e somiglianza della squadra perfetta di Guardiola. Tutte le formazioni giovanili vengono schierate, infatti, con il 4-3-3 per creare un amalgama di stile. Giocatori di talento che sappiano fare tutto, spirito di squadra, atteggiamento offensivo, il progetto della nuova Roma nasce dall’incontro tra un pezzo del modello Barcellona e uno dei migliori settori giovanili della serie A. Dalla Masìa alla Magica, il principio resta sempre quello: «Giocar bene e fare spettacolo», la strada più breve a Barcellona da più di 20 anni per arrivare alla vittoria. La strada più breve, non quella più facile. Ci vuole tempo, ecco, il problema, forse, più grande per la cultura calcistica del nostro Paese, e per lo stesso mondo Roma, che, dopo aver perso qualche scudetto, ha solo voglia di vincere. Ma da subito.