rassegna stampa roma

La Juventus però non cambia mai

(Il Romanista – P.Marcacci) La Juve è sempre la Juve, anche se la Juventus non è più la stessa e fatica a tornare quella che ricordiamo da quando s’era bambini.

Redazione

(Il Romanista - P.Marcacci) La Juve è sempre la Juve, anche se la Juventus non è più la stessa e fatica a tornare quella che ricordiamo da quando s’era bambini.

A cosa serve questo capzioso distinguo? Forse serve per spiegare ai più giovani, che quando pensano al potere calcistico e agli avversari cui contendere gli allori del calcio italiano, pensano subito Inter e Milan, vista la storia recente.

Allora è bene distinguere la Juventus, realtà tecnica di medio-alto livello ma per stessa ammissione dei suoi giocatori (Aquilani) non attrezzata per una duratura lotta al vertice, dalla Juve, quattro lettere, una metafora, un qualcosa che evoca uno status prima politico e poi tecnico che prima di Calciopoli sembravano eterni, indissolubili e non scalfibili, come tutte le cose italiane che non stanno bene a gran parte del paese e che proprio per questo il paese continua a portare sulla gobba nei secoli dei secoli: come l’evasione fiscale e la burocrazia, come il traffico e l’abbandono scolastico, la Juve per noi anti-juventini è stata l’ombra di una gioventù intera, un qualcosa di cui diffidare a priori, come a dire che in un modo o nell’altro saremmo rimasti fregati, se di mezzo c’era la Juve.

Anche quando a rappresentarla, a vestirne i colori erano fuoriclasse indiscutibili, da Causio a Scirea, Platini e Tardelli, prima della forza tecnica a noi la Juve ci disturbava con l’alone di potere, inteso in senso letterale ma anche in un’accezione tutta italiana.

Cioè, affrontavi la Juventus, con le righe bianconere verticali e i pantaloncini bianchi che somigliavano alle mutande di Fantozzi (un perseguitato, quindi anti-juventino pure lui, o in quanto perseguitato juventino per cercare un riscatto?), però percepivi la Juve, diminutivo che per un terzo d’Italia era un vezzo affettuoso, tanto che se ne dichiaravano fidanzati; per tutto il resto era un qualcosa da combattere e contro cui scornarsi, soprattutto quando accadeva qualcosa che non faceva mai tornare i conti a chi non vestiva di bianconero: a turno e prima di noi, prima che Turone diventasse l’icona di cosa voleva dire sbattere la faccia contro la Juve, ci si scornarono i granata, i viola e pure rossoneri e nerazzurri, quando avevano soldi ma non lo status politico di oggi.

La Juve era, in attesa di tornare ad esserlo, sinonimo di padronato, visto il binomio indissolubile con la Fiat che strappava alle zone rurali del meridione migliaia di braccia e le irregimentava nelle catene di montaggio; per una perversione ed un masochismo tutti italiani quelle braccia, pugliesi, calabresi e siciliane si sarebbero poi levate in alto per osannnare la Juve stessa, forse perché rappresentava in qualche modo anche la busta paga e la possibilità di tornare giù dai parenti con la "Millecento".

Ecco perché stasera, lo dico soprattutto ai giovanissimi, che sono cresciuti con l’Inter come avversaria diretta e con lo strapotere europeo del recente Milan, non affrontiamo solo la Juventus di Del Neri e Marotta, ma affrontiamo, come sarà in eterno ogni volta che il calendario ce la metterà di fronte, anche la Juve, quella cosa impalpabile e tutta italiana che la storia contemporanea ha soltanto congelato ma che tra stadi nuovi ottenuti smuovendo mari e monti, prestigiose dinastie e spese pazze tornerà, vedrete, come tutte le cose italiane che abbiamo subìto senza mai vederci chiaro del tutto.