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Squilli di Roma

(Il Romanista – T.Cagnucci) Prima per un paio d’ore. Se volete è più poetico così. Più romanista.

Redazione

(Il Romanista - T.Cagnucci)Prima per un paio d’ore. Se volete è più poetico così. Più romanista.

Anche perché com’era prima? Com’era? Bojan doveva tornare in Spagna? Come si fa a comprare Osvaldo? I due attaccanti della Roma sono due centrali quando ci vorrebbero due esterni e Bojan e Osvaldo non c’entrano niente col gioco di Luis Enrique.

 

Com’era? Luis Enrique e Totti non vanno d’accordo? Dopo lo Slovan non lo potrà più sostituire (applausi solo applausi ieri)? Pizarro non può giocare con Luis Enrique? Simplicio non lo vede proprio? Com’era? Ma come si fanno a spendere 18 milioni di euro pe’ Osvaldo? Questa è l’unica giusta: 18 milioni so pochi pe’ Osvaldo.

Una smitragliata sotto la Sud, tre gol di fila (abbi pazienza Mirko Mister Sorriso Vucinic) non hanno prezzo, non hanno costo, non si vendono.

Adesso c’è anche una società che la pensa allo stesso modo: no alla tessera del tifoso (in attesa che Fenucci canti «Io non mi tessero»).

Prima per una un paio d’ore, come tutte le più belle cose, ma questa squadra è destinata a non sfiorire come le rose. L’impressione di sabato pomeriggio non è una canzone di Baglioni ma un Inno alla gioia, quella di una squadra sbocciata, comunque in fiore, come Bojan Krkic uno che a 16 giocava col Barcellona più forte di tutti i tempi e che qua fino all’altro ieri per qualcuno – pochi ma sempre troppi – era diventato una pippa al sugo.

Il gol suo di ieri è un gol coccolato, ricamato, violentato, baciato, a metà fra Pruzzo e Montella: è un gol che si vede mentre si fa. Che sboccia.

Come tutto il mondo che gira attorno alla Roma: i tifosi, i dirigenti, i mental coach, i giocatori che s’abbracciano fra di loro, coi tifosi e con l’allenatore.

L’allenatore. Un po’ di silenzio per favore. Ieri ha rivinto il nostro Cid in scucchia, giacca e cravatta. La sorpresa stavolta aveva il nome e il cognome di Fabio Simplicio che ha scartato un altro cioccolatino: sarà stata l’aria del derby, giusto un tocco da tennista in attesa di chiudere il set. Gioco, partita e incontro ieri non hanno avuto mai storia.

Roba da prima in classifica. Per un paio d’ore quelle giocate all’Olimpico, non quelle in cui siamo stati primi. Come la prima vittoria all’Olimpico, dopo una vita quando fu sempre un 3-1, ma inutile, triste, buio, ieri qui s’è visto pure il tramonto. All’epoca non c’era niente di quello che c’è già adesso: una squadra in costruzione che ieri nei cori della gente è già diventata lo squadrone («corete, scappate...»). Bello. Bella. Forte. Mezz’ora del primo tempo da brividi rossi, Roma da Roma. E poi bella da soffrire, sempre Roma da Roma.

Sarà che l’Atalanta è un piccolo arco della nostra storia, racconta la salvezza ai tempi di Pruzzo e il primo posto preso non solo l’anno scorso, ma annusato veramente come la rosa più bella nella penultima partita prima di quel Catania-Roma 2008 che chiuse l’epoca Spalletti.

Sarà per questo che ieri è sembrato veramente – per la prima volta da quando è iniziata – che tutto stia per cambiare o sia già cambiato rispetto a prima. A proposito. Prima non come prima in classifica, ma perché sicuramente più di prima t’amerò.