(Corriere dello Sport - L.Cascioli) Nell'attesa che diventi una squadra, al momento la Roma è un laboratorio calcistico che tende al paradossale. E il paradosso consiste nel fatto che, a partire dalla formazione, ipotizza e realizza un gioco dichiaratamente offensivo, senza riuscire a far gol.
rassegna stampa roma
Sì, adesso la nuova Roma deve cominciare a segnare
(Corriere dello Sport – L.Cascioli) Nell’attesa che diventi una squadra, al momento la Roma è un laboratorio calcistico che tende al paradossale. E il paradosso consiste nel fatto che, a partire dalla formazione, ipotizza e realizza...
Forse però la squadra comincia a capire Luis Enrique, ma è soprattutto Luis Enrique che comincia a capire la Roma. I passi avanti sono rappresentati dal ruolo affidato a De Rossi, che ha giganteggiato davanti alla difesa; dal ritorno di Pizarro, la cui fluida genialità sembra indispensabile a una squadra che mira al possesso palla; dalla scelta di Borini, che è il solo attaccante capace sinora di interpretare i movimenti giusti e in grado di conferire al gioco un minimo di profondità; dall'inserimento nel cuore della difesa di Kjaer, autentico dominatore delle palle alte e basse. Ma anche la vecchia Roma sabato sera ha fatto la sua figura, con Totti a sacrificarsi in pressing e con Perrotta e Taddei utilissimi in ruoli per loro anomali. Appena venti anni fa (e anche meno) la stessa critica che oggi applaude la scelta di due centrocampisti d'attacco come laterali di difesa, avrebbe linciato il tecnico che avesse osato tanto, oggi sostiene soprattutto il coraggio di Luis Enrique nel portare avanti con coerenza la propria idea di gioco rivoluzionaria, per ora almeno nella forma, e apprezza il risultato di Milano come un piccolo capolavoro di buona volontà, di orgoglio e personalità. Contro il Cagliari ognuno aveva giocato per conto suo. A Milano si è notato invece che tutti giocavano per la squadra e per l'interesse collettivo. Forse la Roma si è ricompattata durante la cena voluta e organizzata dal suo capitano, che ha saputo così assumere anche fuori campo quel ruolo di 'tutor' che gli compete, ma non è che si può andare avanti a forza di cene pagate da Totti. Adesso, partendo da questo punticino, la squadra deve dimostrare di saper progredire facendo soprattutto qualcosa di più per l'attacco. In tutta la partita contro l'Inter correva sotterraneo un tremolio offensivo del gioco che ci ha ricordato il tremolio dei pianisti quando volevano commuoverci. Ma ci vuole qualcosa di più per fare gol e per vincere. E la formula per riuscirvi non è quella dettata dai fondamentalisti del difensivismo o dell'offensivismo. Il calcio moderno ha saputo fare a meno di queste scelte estreme attraverso il movimento incessante di tutti, con gli attaccanti capaci di difendere e i difensori capaci di attaccare. La Roma sembra avviata sulla strada di volerlo fare. Per ora ci riesce solo a metà.
In quanto a Luis Enrique, ci ricorda simpaticamente il dongiovanni di quel vecchio capolavoro di Lubitsch 'Il cielo può attendere'. Questo personaggio rinuncia volentieri al Paradiso preferendo al cielo l'Inferno, pur di accompagnarsi alla prima donna bella che passa. Gli uomini coerenti ed ostinati mettono sempre, in tutti gli atti più o meno volontari della vita, un po' delle loro convinzioni. I tifosi della Roma hanno accettato pazientemente un programma che aveva per slogan 'il cielo può attendere', ma non vogliono neppure andare subito all'Inferno e gli chiedono di essere un po' meno spagnolo e un po' più italiano. Per il momento sta facendo vistosi progressi con la nostra lingua. Ne aspettiamo fiduciosi altri, più a fatti che a parole.
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