rassegna stampa roma

Sei personaggi e un autore. Il futuro è nostro

(Il Romanista-T.Cagnucci) Impressioni di Novembre. Finora da quando è ricominciato tutto, mai come sabato sera la Roma ha dato una sensazione così forte di futuro.

Redazione

(Il Romanista-T.Cagnucci) Impressioni di Novembre. Finora da quando è ricominciato tutto, mai come sabato sera la Roma ha dato una sensazione così forte di futuro.

Mai come stavolta, perché è forse la prima volta che ha vinto la nuova Roma. Che lo slogan s’è fatto carne. Tout court. Appieno. Netta e bella come quella maglia che resta Roma e bianca sotto pioggia, erba sintetica e umori piemontesi.

Per la prima volta ha vinto praticamente tutto di questa Roma sognata fra Boston, le Asturie e Londra. Novara-Roma 0-2 è un risultato del tempo, un pronostico fatto dal futuro. All’87’ al Silvio Piola in campo per la Roma c’erano Maarten Stekelenburg (29 anni, ancora un pupo per fare il portiere), Fernando Gago (25 anni), Miralem Pjanic (21 anni), Erik Lamela (19 anni), Bojan Krkic (21 anni fatti un mese fa), Pablo Daniel Osvaldo (25 anni) e José Angel (22 anni fatti un mese fa). Al 87’ in campo - prima dell’uscita di Pjanic - al Silvio Piola c’erano sette giocatori che al primo minuto di qualsiasi partita della stagione passata non c’erano proprio. A parte Angel, entrato troppo tardi e quando la Roma aveva fatto la Roma, gli altri sei, sei su undici, più di mezza squadra, tutti sono stati fenomeni. Tutti sono stati nuovi. Tutti sono diventati un aggettivo: giovani e nuovi. Sono stati quello che chiunque sognava. Ognuno il migliore in campo. Stekelenburg con quella parata su Meggiorini fatta quando era rimasto da solo e di fronte a lui e a tutta la Roma c’erano la sconfitta, l’abisso, le critiche, il baratro e lui – mulino a vento – ha tirato fuori una pala salvando semplicemente tutto e mandando in angolo la sconfitta, l’abisso, le critiche, il baratro. Sì, Maarten Stekelenburg è stato chiaramente il migliore in campo. Fernando Gago: totale. Fernando Gago è un mistero, un quesito, quello da porre al mondo che lo ha circondato dal 31 agosto 2011, giorno dello sbarco a Roma, capitale d’Italia: ma è possibile che non sapevate che nella Roma c’era un giocatore simile? Uno che ha la faccia e il portamento da tennista, l’anima e il sudore argentino, i piedi educati come la sua testa a pensare e a illuminare. Uno nato al Boca, cresciuto al Real Madrid è destinato solo a vincere. Già lo ha fatto: sulle critiche, sulla sconfitta, sul baratro. Avanti indietro, sotto e sopra, per rompere o per ricamare, Fernando Gago è stato chiaramente il migliore in campo a Novara. Miralem Pjanic, cioè il giuocatore di calcio, con la u che va pronunciata anche un po’ facendo il finto snob. Se lo merita. Ha distacco aristocratico e sguardo da scugnizzo. Miralem Pjanic è un sopravvissuto degli Anni 80, non è atleta di questo tempo senza cura, ma figlio di un’epoca di maestri d’artigianato e di sogno per lo scarpino di cuoio coi tacchetti di gomma: somiglia a Platini come calcia, tira le punizioni come il Pernambucano, lui che è mezzo bosniaco, un quarto lussemburghese, il restante francese ma già totalmente giuocatore di questa Roma dell’avvenire. Il futuro è un assist, il suo. Un inno accennato al cielo, una palombella al divenire, un tartufo sul sintetico, un "vai godi e segna figlio mio", tempo a venire. E’ un insegnamento del padre. Amen e così sia e così sarà. Miralem Pjanic è stato sicuramente il migliore in campo.

Erik Lamela è stato invece Erik Lamela. Lamela è più di tutti gli altri il giocatore che ha lasciato intravedere il giocatore che sarà: Kakà. Meglio di Kakà. Lamela non merita troppe righe, per quanto è speciale, per quanto tutti l’hanno già intuito, per quanto sia scontato che non sarà scontata la sua storia, ma un ghirigori impresso a fuoco e oro nella nostra di storia. Comunque. Erik Lamela è stato chiaramente il migliore in campo. Bojan Krkic Perez: il lampo che ha annunciato l’avvento. Bojan Krkic è stato luce a Novara di Novembre, che è un po’ come riuscire ad illuminare col fiammifero la Fossa delle Marianne o sopravvivere a un dramma di Giacosa. Bojan è stato il gesto, l’attimo che rinnega l’azione, una lezione di Carmelo Bene, la negazione delle cazzate dette su di lui e sulla Roma: «Non tira in porta», «è acerbo», «e chissà perché il Barça...». Chissà perché? Bo. Bojan è tre tiri in porta con tre palle giocate, Bojan è tre gol e già un gol più di Vucinic che pure per il mondo è l’uomo migliore della Juventus capolista e restaurata, Bojan probabilmente è il migliore acquisto della Roma e sicuramente a Novara è stato il migliore in campo.

Come Pablo Daniel Osvaldo. Eh no. Stop. Di Pablo Daniel Osvaldo non si tratta di ricordare quel colpo di testa da cacciavite a stella, non il quinto gol, né i pochi soldi spesi – appena 18 milioni di euro – per averlo, ma quel segno sotto l’occhio visto meglio a fine partita e le sue parole a fine partita: «Io sono più maturo, noi siamo grandi». Io, noi: che cos’è un pronome? Si chiederebbe Shakespeare (d’altronde in questa storia immaginata da Baldini c’entra il teatro) «Io, noi» è un atteggiamento, un modo di fare gruppo, un comportamento. Un occhio nero senza gomitata come risposta. Pablo Daniel Osvaldo è stato chiaramente il migliore in campo a Novara per questo. Per questo che fa di questa Roma una squadra unica: due espulsioni dall’inizio della stagione, ma entrambe per falli di gioco, una (quella di Angel) che non c’era, la seconda (quella di Kjaer) che non c’era. Diciotto ammonizioni, con quindici squadre in serie A che hanno fatto peggio. Anche per questo a Novara s’è respirato futuro: le piazzate, le gomitate, le sfuriate, cioè le stronzate che non servono a niente quando si gioca a pallone (e raramente nella vita) sono il nostro recentissimo passato che visto da qui sembra trapassato. Bello che lo sbarco nello spazio sia partito da un posto che si chiama "Silvio Piola". Il nostro Jurassic Park per questa squadra "bambina".

Col Fanciullino dentro e un hombre vertical in panchina. Impressioni di novembre e di un allenatore che quest’estate in ritiro disse a tutti: «Ragazzi non voglio reazioni e isterie in campo, noi siamo la Roma, dobbiamo sta-re tutti uniti» e lo fece unendo le due mani in una. Per «un’unica Roma». Luis Enrique è l’autore della storia di questi sei personaggi. Il cortocircuito del relativismo di Pirandello, non è "così è se vi pare", ma è così punto e basta: Taddei terzino, Cassetti centrale. De Rossi dove e come e quando gli pare. In attesa del ritorno del demiurgo: Francesco Totti. Eh sì diranno, anzi no, lo stanno già dicendo, sentitelo il brusio: «Sarà un problema, dove lo farà giocare con Lamela così? Con un Bojan così? Con un Osvaldo così? Con un Pjanic così?...». Con una Roma così da "6 unica" gli basterà indossare quella maglietta che è sua per definizione e per fare a "quelli" un altro 5-1. E queste non sono solo impressioni di Novembre, ma certezze della primavera che verrà.