(Il Messaggero - M.Ferretti) Nell’estate del 1976, un paio di mesi prima che la signora Fiorella Marozzini, maritata Totti, mettesse al mondo il suo secondo figlio, Francesco, a Norcia, sede del ritiro della Roma guidata da Nils Liedholm, si presenta un ragazzo di ventuno anni dai capelli lunghi, «sembri ’na scopetta, co’ quei capelli» lo ribattezza al volo Bruno Conti, magro magro, barba incolta, jeans a campana sdruciti.
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Sabatini-Roma atto secondo
(Il Messaggero – M.Ferretti) Nell’estate del 1976, un paio di mesi prima che la signora Fiorella Marozzini, maritata Totti, mettesse al mondo il suo secondo figlio, Francesco, a Norcia, sede del ritiro della Roma guidata da Nils Liedholm,...
Si chiama Walter Sabatini, parla uno strettissimo dialetto umbro, gioca da ala destra, è innamorato del pallone, dribbla se stesso e anche i ciuffi d’erba. Arriva da Varese dove l’aveva spedito il Perugia, prende casa dalla parti del Gianicolo, paga un botto d’affitto pur di non finire nel pensionato di Ostia, fa comunella con i coetanei (e scapoli) del gruppo, Maggiora e Chinellato su tutti, e in campionato si vede raramente.
Ama troppo la bella vita e i macchinoni: ecco quanto gli viene rimproverato. In realtà, non è un fenomeno, lega poco con il Barone che gli preferisce un certo Bruno Conti e a fine anno saluta la capitale con un bottino di appena dieci (mezze) presenze e zero reti.
La prossima settimana, trentaquattro anni scarsi dopo quell’addio, l’ex dribblomane Sabatini, passato velocemente dal campo alla scrivania, tornerà a indossare la maglia della Roma.
La nuova proprietà americana l’ha individuato come l’uomo della rifondazione tecnica, Thomas DiBenedetto ha ufficializzato la sua nomina e gli ha affidato le chiavi della (nuova) squadra. DiBenedetto si è fidato di chi dice che Sabatini sia tra i più bravi direttori sportivi del nostro calcio, che sia specializzato nello scoprire giovani talenti: la cronaca, del resto, racconta che l’etichetta non gli sta larga.
Nel 1986 comincia la collaborazione con il Perugia inventandosi una Scuola Calcio intitolata ad Enzo Scaini, il giocatore perugino tragicamente morto pochi anni prima durante un intervento di menisco, e poi, dopo aver allenato le varie squadre del settore giovanile, nel 1990 ne diventa il responsabile.
Sempre quell’anno diventa anche vice allenatore della prima squadra, un incarico che mantiene unitamente alla responsabilità del settore giovanile, fino al 1992. Dal 1992 al 1994 Sabatini è a Roma, sponda Lazio, nelle vesti di responsabile del settore giovanile, insieme con Beppe Dossena e Roberto Ottaviani.
Prende casa al Villaggio Azzurro, e ogni giorno si fa un sacco di chilometri, tra andata e ritorno, per presentarsi in ufficio a San Basilio. Una scena che si ripeterà, stavolta direzione Formello, a partire dal 2004, cioè con il suo ritorno alla Lazio, stavolta nelle vesti di diesse dopo le esperienze maturate a Trieste, Arezzo e Perugia, e prima dell’avventura a Palermo, chiusasi nel novembre dello scorso anno con dimissioni «per motivi personali».
Una carriera in costante ascesa, con un pesante incidente di percorso: a Arezzo viene indagato per tratta di baby calciatori, viene squalificato per un anno e mezzo poi addirittura radiato. A causa di un vizio di forma, però, la radiazione viene tramutata in cinque anni di squalifica e nel 2006 può ricominciare a lavorare. «L’hanno messo in mezzo», sostengono i suoi amici.
Scontroso e irascibile, ecco come appare pubblicamente Sabatini. E’ semplicemente un orso, ribattono i soliti amici. Fuma (anzi, divora...) tre pacchetti di sigarette al giorno, ha ancora/sempre la barba incolta, l’ufficio invaso da dvd, cassette, giornali e riviste di calcio, e il televisore sempre acceso e sempre sintonizzato su una partita di pallone.
Il suo telefonino squilla quasi in maniera continua: lo chiamano amici, procuratori, presidenti, colleghi e maneggioni. Ascolta tutti, ma si fida di pochi. E, soprattutto, fa tutto di testa sua.
E’ abituato a comandare, non gli piace dividere compiti e responsabilità, la convivenza (professionale) non fa per lui. Gli amici, abili biografi, ricordano le sue perle, tipo Kolarov, acquistato a 800 mila euro e rivenduto a 18 milioni, oppure gli ingaggi di Pastore e Hernandez; i suoi nemici snocciolano i nomi dei laziali Mea Vitali, Esteban Gonzalez e Brian Robert, «ma, in realtà, non li aveva presi lui», lo difendono gli amici del cuore.
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