(Il Romanista - H.S.Pagani) - Il regista Francesco Del Grosso, sul palco prima della proiezione ci tiene a sottolinearlo, che il suo film non è un risarcimento ma è un’indagine sull’uomo Di Bartolomei, un ritratto a tutto tondo sulla sua vita e sulla sua tragica scomparsa.
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Roma si commuove a “undici metri” dal paradiso
(Il Romanista – H.S.Pagani) – Il regista Francesco Del Grosso, sul palco prima della proiezione ci tiene a sottolinearlo, che il suo film non è un risarcimento ma è un’indagine sull’uomo Di Bartolomei, un ritratto a tutto tondo...
Ma vallo a dire alla platea della sala Petrassi, piena in ogni ordine di posto di gente in cui leggi la stessa passione pura, antica, la stessa emozione che già fatichi a ingoiare, sensazione che è familiare solo a chi si ritrova allo Stadio Olimpico da tanti anni e lì ritrova gli stessi sconosciuti che in tanti novanta minuti più recupero diventano fratelli pronti ad abbracciarsi o a maledire il cielo. O a chiedersi semplicemente perché? Perché un rigore sbagliato? Perché esiste un calendario con la data 30 Maggio? Perché un uomo di trentanove anni decide di andarsene all’improvviso, nel più tragico dei modi? "11 Metri", presentato ieri al Festival Intenazionale del Film di Roma nella sezione Extra coordinata da Mario Sesti, la più dinamica e interessante della kermesse capitolina fin dal suo esordio, non svela il mistero (come potrebbe?) ma ci racconta con rispettosa grazia il grande vuoto lasciato da Agostino nel cuore di chi lo ha amato.
Lo fa raccontandone le gesta sportive e private attraverso rari filmati d’epoca ed interviste a lui e a chi ha avuto il privilegio di averlo come compagno di spogliatoio, di squadra o di vita. E così scopriamo che Ago è sempre stato Ago, ha sempre tirato le bombe, fin dalle prime partite al campo della parrocchia a Tor Marancia, dove il prete lo aveva già sgamato e gli diceva che se non tirava piano gli annullava il gol. Il tiro secco, preciso, chirurgico era già allora un’estensione di sé, come un tratto del suo carattere introverso che esplodeva all’improvviso, come quando Tancredi, Bruno Conti e Righetti si ritrovavano stritolati o colpiti con un cazzotto. «Non era capace di semplici abbracci, Ago: lui se voleva dirti che ti voleva bene ti dava un cazzotto. Io ne ho presi tanti da lui e sono contento di questo», dice Franco Tancredi con un’amarezza definitiva nella voce. Ago che era decisivo dentro al campo e leader negli spogliatoi, capitano silenzioso con un carisma che avercene ora di Uomini come te, uno che «se a cinque minuti dall’entrata in campo diceva che non si giocava noi ci piantavamo perché Ago aveva detto così», ricorda Sebino Nela.
Ago mezzala nella Roma Primavera Campione d’Italia che faceva gol a grappoli anche spostato a centrocampo, Ago che compra una pistola da cui non si separava mai, simbolo evidente di un disagio che covava fin da allora, anche quando quella maledetta P38 restava nel borsello che aveva sempre a tracolla. La tira fuori solo una volta e il racconto strappa una risata liberatoria, quando disperde 4000 laziali che assediavano lui e la Roma al Flaminio. La seconda volta no, non c’è mai stata. L’abbiamo rimossa anche noi, insieme alla sua Marisa, quel secondo maledetto 30 maggio, dieci anni dopo la partita che non s’è mai giocata, quel 30 Maggio è stata fatta una «cazzata», la definisce così il figlio Luca con un rimprovero da amico tradito. Luca che oltre ad avergli strappato la faccia ha anche l’intelligenza brillante, l’eloquio mai banale di Ago, Luca che confessa che superare il dolore è stato durissimo ma che alla fine sa che è stato fortunato ad averlo conosciuto, ad aver passato del tempo con lui, con Ago (e questo chiamarlo Ago ce lo rende fratello una volta di più). "11 metri" è un tuffo nel cuore del Primo Unico Capitano, quando racconta del distacco sofferto alla gente che in sala sente arrivare il pezzo drammatico del film e quasi vorrebbe scappare dalla sala. Ago che se ne va al Milan dietro a Nils Liedholm, Ago testimone (e fonte) della prima gaffe conosciuta di Berlusconi al cospetto di Papa Wojtyla (ed è un piccolo scoop). Ago che resta romanista dentro, malgrado quell’esultanza rabbiosa al gol segnato nella porta sbagliata a San Siro che gli valse un’ingiusta contestazione al ritorno. Abbiamo sbagliato con Ago, non era modo di lasciarsi quello. E mentre lui andava avanti facendo finta di non pensare più alla sua Roma, trascinava la Salernitana in serie B lasciando il calcio giocato con l’ennesimo successo. Oggi il prezioso film di Del Grosso, nato da un’intuizione di Angelo Esposito, ci assegna solo la possibilità di farci domande e azzardare interpretazioni, iniziare frasi con "se fosse". Se qualcuno gli avesse dato un’opportunità da dirigente nel calcio che conta, se Ago si fosse fatto capire meglio, se avesse chiesto aiuto - già, ma non sarebbe stato Ago. Noi siamo come te, Ago. Pieni di orgoglio per averti applaudito e di rimpianto per quello che poteva essere e non è stato
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