(La Gazzetta dello Sport - M.Cecchini) - È maleducazione rovinare una festa con 50 mila ospiti (stupendi) eppure la Roma vi riesce con un harakiri che fa parte del dna della sua storia affascinante e maledetta.
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Roma, Euroaddio
(La Gazzetta dello Sport – M.Cecchini) – È maleducazione rovinare una festa con 50 mila ospiti (stupendi) eppure la Roma vi riesce con un harakiri che fa parte del dna della sua storia affascinante e maledetta.
Leggete bene: eliminata dal modesto Slovan Bratislava dopo un pareggio per 1-1 che è il seguito del ko dell'andata. Niente Europa per i giallorossi, cosa che non accadeva dal 1998. Verrebbe da dire che Vladimir Weiss - come nei giorni dell'ultimo Mondiale quando era c.t. della Slovacchia - sembra essere lo specialista delle missioni impossibili contro il calcio italiano, ma in realtà a sciupare una qualificazione che la Roma meriterebbero visto che fino a quel momento l'1-0 era un risultato assai stretto, è lo sciocco cambio di Luis Enrique, che senza ragione sostituisce al 29' della ripresa un buon Totti per inserire Okaka. Un attacco di «machismo» che sancisce la frattura fra il nuovo allenatore e il capitano, che esce a testa bassa e fa esplodere la contestazione dello stadio. Fischi a pioggia, che smarriscono la squadra (piena di giovani) e sono il viatico per il pareggio beffa di Stepanovsky a 12' dalla fine. Ci pensa un inguardabile Bojan, poi, a divorarsi un gol e sancire che per ora il nuovo corso della proprietà estera finisce tra Lampedusa e le Alpi. Un paradosso.
Applausi a DiBenedetto Alla fine, perciò, si dimentica tutto. Le ovazioni al futuro presidente DiBenedetto (che ringrazia con un video messaggio e fotografa la curva col cellulare) e l'entusiasmo di una tifoseria che ha aperto un gran credito a Luis Enrique, sentendosi poi tradita (domanda: e se si andava ai rigori Totti non serviva?). Peccato, perché al netto della modestia slovacca c'è da dire che nella Roma un'idea nuova di gioco c'è. Come da 4-3-3 d'ispirazione Barcellona (ma fermiamoci all'ispirazione), gli esterni bassi (Rosi entrato subito per Cicinho e il buon Josè Angel) spingono finendo spesso più alti degli intermedi di centrocampo (Perrotta e Simplicio: discreti). Il cross al centro ovviamente non è previsto e così la palla circola sugli interni, mentre il centrale della mediana (Viviani: utile) abbassa spesso in linea con il tandem difensivo rimasto a presidio (Cassetti e Burdisso: fragili). La variante più significativa, manco a dirlo, è capitan Totti che non fa certo il Messi andando a cercare la porta con i triangoli, ma vede corridoi inesplorati in cui far viaggiare la palla a beneficio di Caprari e Bojan (buono il primo, disastroso l'altro). Insomma, il meccanismo tutto sommato funziona, anche se lo Slovan - che a volte si abbassa in sette sulla linea difensiva con i ripiegamenti di Bagayoko e Zofcak (Kladbrubsky fa il frangiflutti quasi a uomo su Totti) - subisce gol su palla inattiva. Angolo di Totti e rete in scivolata di Perrotta (11'). Pura vecchia guardia che indirizza il match, dopo che al 2' Bojan sciupa una bella palla servitagli da Caprari.
Caso Totti I giallorossi vanno al tiro con facilità, ma per rivedere una conclusione in porta bisogna aspettare la ripresa, quando Totti e Perrotta fanno volare Putnocky Lo Slovan anche dopo lo svantaggio lascia isolato l'unica punta Sebo e si fanno vedere solo con un tiro di Guedé da fuori area e qualche incursione sul ventre molle romanista (il destro). Ci sono però autostrade per i giallorossi, che graziano Putnocky con Josè Angel (13'). Con la inspiegabile uscita di Totti (29'), la squadra si smarrisce e l'incursione di Guedé che scavalca Cassetti e serve Stepanovsky per il pari finale. L'ultimo acuto è un gran tiro di Verre (17 anni) deviato alla grande dal portiere, ma non è sera di ovvietà: solo di miracoli. Come quello dello Slovan. E qualche tifoso lascia l'Olimpico mormorando: «Meglio se arriva presto Delio Rossi...».
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