rassegna stampa roma

Roma ammazza gufi

(Il Romanista – T.Cagnucci) – Se la Roma è una grande sensazione è perché ogni volta riesce a regalartene una nuova. Se hai l’amaro in bocca perché non sei riuscito a vincere contro la prima in classifica che non aveva mai perso...

Redazione

(Il Romanista - T.Cagnucci) - Se la Roma è una grande sensazione è perché ogni volta riesce a regalartene una nuova. Se hai l’amaro in bocca perché non sei riuscito a vincere contro la prima in classifica che non aveva mai perso e giocavi senza otto giocatori (Gago, Bojan, Burdisso, Juan, Kjaer, Pizarro, Borini, Cassetti), oltre a quel rimpianto devi avere una consapevolezza più grande: che non è per niente finita, che anzi adesso sembra iniziata.

Che questa Roma è una squadra, un gruppo. Che sei Roma. Roma, Roma. Torni a essere un inno anche in campo. Lo è stata tanto stanotte. Romanista. Rossa. Cattiva. Spavalda. Umile. Affamata dall’inizio alla fine, con le unghie che uscivano fuori dagli scarpini di Heinze, con Lamela che ha giocato da Furino e che ha provato a spaccare la partita due volte (con l’assolo dall’Argentina al passaggio per Totti) e con il rigore preso per tutti e per Totti. Furino e Kakà, Lamela. E non è stato per niente il migliore. Con Taddei che è un esempio non solo per i ragazzini, per chi si sente mobbizzato, escluso o emarginato, ma anche per quelli che dicevano che Luis Enrique non sa guardarsi intorno e scoprire altre risorse. Oasi. Taddei da questo punto di vista è un miraggio, da questo punto di vista Taddei è di Luis Enrique più di quanto lo sia uno suo per definizione come José Angel (meglio persino lui). Con De Rossi che è stato tutto. Dovunque. Davanti e dietro, dall’est all’ovest: la vera unificazione dopo il muro: DDR è stato Beckenbauer. Lo spread fra se stesso e tutti gli altri. Il sacrificio sognato da Monti. Lui mare. E’ stato un faro in campo, lui che contro la Juve aveva segnato nell’ultima partita di Spalletti. Il gol della bandiera e un gol da bandiera. Ha rischiato di esserla pure per Luis Enrique l’ultima partita, almeno per tanti, almeno per quei gufi che svolazzano basso attorno al Colosseo.

S’attaccano oggi. E c’hanno pure qualche pensiero in più da ieri. Esti...garribia. La grandezza di questa partita è anche in questa considerazione, nel guardare quello che avevi al fianco: un burrone. La fine. Questa squadra ha dimostrato di essere squadra proprio perché aveva l’occasione di far vincere gli alibi, le insicurezze, le ripicche, le rassegnazioni, le meschinerie, gli egoismi, e invece contro i primissimi e gli invincibili ha scelto di essere Roma. Almeno di provare a essere Roma. Cioè la cosa più grande. Di finire sotto la Sud, curva senza fiato, rimasta con l’urlo mozzato al rigore sbagliato di Francesco Totti. Oh capitano mio capitano, soprattutto adesso. Volto di una Roma che ha preso schiaffi e sberleffi e che nella serata più difficile e dura s’è ritrovata a testa alta, uscita dal tunnel non solo dello spogliatoio a riveder le stelle. Lui c’è stato, comunque. Lì come sempre. Lui più di chiunque altro ti ha lasciato quello strano rimpianto e quella rabbia piena di speranza. Quel sentimento che dimmi cos’è e che è talmento bello che non lo sai mai dire