rassegna stampa roma

Questa Roma deve cambiare: meno possesso, più profondità

(Corriere dello Sport – L.Cascioli) No, proprio non ci siamo. Lo dice il risultato e lo dice il gioco. Certo, non può essere questa la Roma che ci aveva promesso Luis Enrique, ma quella che abbiamo vista soffri­re contro il Siena non è la...

Redazione

(Corriere dello Sport - L.Cascioli) No, proprio non ci siamo. Lo dice il risultato e lo dice il gioco. Certo, non può essere questa la Roma che ci aveva promesso Luis Enrique, ma quella che abbiamo vista soffri­re contro il Siena non è la Roma di nessuno. La squadra sembra annaspare nelle spire dei suoi paradossi.

Promette sul cartel­lone tre-centravanti-tre, ma poi Totti arretra per suggerire il gio­co (e lo fa benissimo), mentre Borriello e Osvaldo svariano co­stantemente sulle fasce.

Risul­tato: la Roma gioca in effetti senza una punta centrale. Il che ci sta anche nel calcio moder­no, se però tutti si muovessero per anticipare gli avversari e dettare il passaggio. Altro para­dosso è il modo di impostare la manovra, che mira più al pos­sesso-palla che alla ricerca dei tagli e della profondità. Gli spettatori in tribuna, ormai al limite di una crisi di nervi, sono riusciti a contare trenta passag­gi all'indietro nel giro di dieci minuti, senza che nessuno az­zardasse l'affondo, senza che nessuno si avvicinasse alla por­ta avversaria. La sola volta che la Roma è riuscita a guadagna­re la linea di fondo è andata in gol.

'Buscar el Levante por el Po­niente' era lo slogan di Cristofo­ro Colombo, quando partì alla scoperta dell'America. Sapeva di poter raggiungere le terre di Levante, navigando verso Po­nente, convinto com'era che la terra fosse rotonda. Ma i campi di calcio non sono rotondi: sono piatti. Insomma più ti allontani con la palla dalla porta avver­saria, più ti allontani dal gol. E così il Siena si è difeso meglio e ha attaccato con maggiore inci­sività della Roma, che per l'oc­casione aveva messo in mostra tutti i suoi gioielli, vecchi e nuo­vi. Eppure Josè Angel, Pjanic, Kjaer, Gago e Osvaldo sono buo­ni giocatori. Lo si nota a tratti a contatto con la palla. Quello che fa difetto a tutti è proprio il senso collettivo del gioco e i mo­vimenti senza palla, che non possono essere così lenti, così prevedibili, così impacciati. Questa Roma sembra vittima delle 3 P: Paura, Pigrizia, Pre­sunzione. E meno male che Tot­ti regge ancora la botta.

Il capi­tano ha faticato molto, ha corso molto, ha sofferto molto. Alla fi­ne faceva male leggere la delu­sione sul suo volto. A questo punto, prima che l'ambiente vada in depressione, è necessario ridisegnare il mo­dulo e puntare più alla profon­dità del gioco che allo sterile e noioso possesso della palla. O assumere qualsiasi altra solu­zione che venga in mente all'al­lenatore. Ma così non si può an­dare avanti. Va bene la pazien­te fiducia che meritano gli espe­rimenti nuovi, ma gli ammicca­menti non risolvono i problemi elementari denunciati dalla squadra. Va bene il tempo ne­cessario a saldare le intese, ma senza fare più i sentimentali o raccontarci bugie. Questo non toglie che la squadra non sap­pia fare la sua bella figura quando è bene ancorata in dife­sa e viene attaccata, come è successo a Milano, dov'era l'In­ter di Gasperini che ha cercato di fare la Roma. Intanto la gen­te continua a recarsi allo stadio nella speranza di assistere al­l'atto di nascita della nuova squadra, per vederla vincere e per divertirsi. Fino ad oggi l'­hanno vista sparire dall’Europa League, rimediare un punto in casa tra Cagliari e Siena e cer­tamente sugli spalti e a casa si sono divertiti pochissimo. Luis Enrique ammette che la squa­dra ha paura. Allora, se ha pau­ra di giocare come dice lui, la faccia giocare in un altro modo. Con i giocatori che ha non do­vrebbe essere tanto difficile.