rassegna stampa roma

Quello scudetto nel cuore

(Corriere dello Sport – A.Maglie) – «Io sogno e penso a questo scudetto come a un rega­lo, una festa per chi come me diciotto anni fa non riusciva a capire tanto entusiasmo e ora piange di gioia».

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(Corriere dello Sport - A.Maglie) - «Io sogno e penso a questo scudetto come a un rega­lo, una festa per chi come me diciotto anni fa non riusciva a capire tanto entusiasmo e ora piange di gioia».

C’era anche lui, confuso nella folla, anne­gato tra le bandiere, il volto buono e pulito del padre. «Er fijo de Dibba » , del capitano del secondo scudetto, il Gi­gante Mite che piegava i por­tieri con la potenza delle sue punizioni. Diciannove anni, quel giorno, quasi lo spazio esatto tra due trionfi, tra i pianti di un neonato e le con­sapevolezze di un neo- uomo. Era felice, Luca Di Bartolo­mei come lo era Francesco Totti, romano come suo pa­dre, romanista come suo pa­dre, Capitano come suo pa­dre. «Il giorno più bello della mia vita, il giorno che insegui­vo da una vita » , racconterà Francesco mentre Luca fe­steggiava e scriveva per que­sto giornale quelle righe che sono ancora oggi i fili di una storia, le trame di un senti­mento che unisce epoche, donne, uomini, amici o sem­plici conoscenti. Erano le 17 del 17 giugno quando Braschi, attuale designatore per la Se­rie A, fischiò la fine: Roma-Parma 3- 1. Dieci anni fa, un’altra Italia, un altro mon­do. Le Torri Gemelle trionfa­vano ancora nella skyline di New York, la nostra vita sem­brava più sicura, forse anche più felice. Si bloccò, Roma, al­le 17 del 17, numero contra­rio alla scaramanzia, numero giusto per l’assegnazione di uno scudetto.

CONTRO TUTTI -Franco Sensi si godeva il trionfo, regalo anti­cipato per il suo settantacin­quesimo compleanno. Pensa­va al padre che settantaquat­tro anni prima aveva fondato, con un atto d’amore, quella squadra che lui ora, seguen­do la linea di una continuità che a volte solo il calcio può disegnare, era riuscita a con­durre al successo.« Contro tutto e tutti», disse. Perché luiCalciopoli non l’annusava, la viveva sulla sua pelle, quan­do si ritrovava a dover fare i conti con arbitraggi a dir po­co bizzarri, quando si ritrova­va a dover conquistare con le unghie e con i denti i quattri­ni della Tv con gli «Altri» che lo mettevano all’angolo, obbli­gandolo a creare Stream.« Abbia­molottato contro i potenti, al di so­pra delle nostre forze». Quel gior­no era felice, for­se stanco, ma non ancora estenuato. Aveva costruitouno « squadrone » e lo aveva affidato a Fabio Capello; ave­va portato nella Capitale Bati­stuta e Montella, Emerson e Cafu. Voleva un « ciclo » ma per aprirlo doveva vincere al­tre partite, fuori dal campo. Ci provò in Lega. Perse. A quel punto non fu più sempli­cementestanco, era estenua­to. E poi la malattia incombe­va. Ma quel giorno fu un gran giorno, con la Ferilli che pro­metteva un pubblico spoglia­rello che poi, in realtà, fu una esibizione molto morigerata di epidermide, il tempo ci ha regalato spettacoli decisa­mente più sguaiati in occasioni meno festose e cariche di entusiasmi.

INFERNO E PA­RADISO -Fu una stagione prima rabbiosa e poi festosa. Perché, come spesso capita nel calcio, è nei momenti dif­ficili che acquisisci la consa­pevolezza dei tuoi mezzi, im­provvisamente quasi senza motivo ( ma i motivi ci sono sempre) la sfiducia si trasfor­ma in autostima. Nessunoavrebbe potuto immaginare che la squadra umiliata ed eli­minata in Coppa Italia dal­l’Atalanta avrebbe conquista­to lo scudetto fissando quel­l’anno il record di punti per i campionati a diciotto squa­dre. Sembrava l’inizio di una promessa tradita: contesta­zioni fuori i cancelli di Trigo­ria, spietati confronti negli spogliatoi. La luce che si ac­cende e tutto cambia. Certo ci fu anche il tempo per una nuova delusione ( l’elimina­zione dalla Uefa a opera del Liverpool e di Garcia Aranda che trasformò un rigore in un calcio d’angolo), ma poi il viaggio, seppur tra qualche sussulto, fu sereno e felice. «Vincere a Roma non è facile e il campionato sembrava non finire mai », spiegò Fabio Capello. Mentre il «sogno» di Luca diventava l’estasi di un Popolo.