(Il Messaggero-U.Trani) Riflettori su Vincenzo Montella, nel tardo pomeriggio al Dall’Ara e per una partita di 74 minuti (più recupero): è il suo debutto da allenatore di serie A, il più giovane della categoria, con i suoi 36 anni (Simeone ne ha 40, Leonardo 41, Mihajlovic 42, Allegri 43).
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“Traghettatore a chi?”
(Il Messaggero-U.Trani) Riflettori su Vincenzo Montella, nel tardo pomeriggio al Dall’Ara e per una partita di 74 minuti (più recupero): è il suo debutto da allenatore di serie A, il più giovane della categoria, con i suoi 36 anni (Simeone ne...
Il ragazzino, lasciati i Giovanissimi giallorossi, diventa improvvisamente grande. Simpatico, però, lo è sempre stato. Normale che si affacci con una battuta che è quasi un diretto per chi, più di uno, gli rimprovera l’inesperienza: «Credo di avere molte più panchine in serie A di molti colleghi, appunto di serie A. Ma forse sarà l’unica volta che andrò in panchina veramente contento». Fa divertire l’Aeroplanino, con le sue virate dialettiche. Perché, per ora, la scoperta non riguarda il tecnico, dovendo ancora iniziare l’avventura, ma il comunicatore. Lui, l’uomo del «turn ever», sembra fatto apposta per gli americani. Sa che cosa dire e anche come. A prescindere dai risultati, sembra l’incarnazione della svolta. Primi piccoli passi sulla luna, anche se intorno si vedono facce di chi vive ancora nell’età della pietra.
La frase più bella è romantica e al tempo stesso efficace. Riguarda la rotazione, dura da presentare ai suoi ex compagni, anche i più illustri. «E’ una delle prime cose a cui ho pensato e ho trovato subito la risposta: il giorno più triste della mia vita sportiva è stata la finale-scudetto dell’anno scorso in cui ho dovuto escludere quindicenni ragazzi che inseguivano un sogno e che forse sapevano che non avrebbero più avuto un’opportunità del genere. Ora, invece, dovrò relazionarmi con professionisti». Il suo ruolo lo conosce bene: «Vi do il titolo: non mi sento un traghettatore». Spiega perché: «Ho accettato mettendo a disposizione la mia serietà, il mio impegno, spero la mia competenza. Il resto non mi interessa. Né se voi ne parliate, nè se qualche allenatore si presenti, si promuova. Nemmeno se si fa il nome di Ancelotti, persona che stimo moltissimo, tecnico preparatissimo. Tutto ciò non mi disturberà, l’ho messo in preventivo. Il mio obiettivo è far bene da qui alla fine dell’anno. Poi si sa: chi fa calcio sa che le cose cambiano continuamente».
Insomma crede tanto in se stesso e non si sente allenatore part time. «Sono convinto che non si può, anche vincendo tutte le partite, avere l’unanimità mediatica e dei giocatori, sono perfettamente consapevole a che cosa vado incontro. Ma ho accettato con entusiasmo perché ho una grossa fortuna di guidare una formazione così competitiva». Ha i suoi obiettivi: «Non a lungo temine, dobbiamo guardare al presente. Ambiamo al massimo perché questa squadra può fare il massimo. Quindi basta fare il massimo che va bene». Conosce dove è il male della Roma: «Adesso i giocatori stanno attraversando un momento psicologico non idoneo: perché sono persone per bene e sensibili. Talvolta sarebbe meglio avere un carattere più spigoloso. Credo molto nella loro voglia di rivalsa. Sarà importante parlare soprattutto con ognuno di loro, anche individualmente. Ho già iniziato».
Sul turn over, croce della sua carriera proprio in giallorosso, fa un approfondimento. Perché ritiene che la sua promozione, dopo l’addio di Ranieri, sia legata proprio al suo modo di reagire alle esclusioni nell’éra Capello: «Un giocatore di alto livello per ambire a una grande squadra come la Roma debba avere un alto profilo. Anche giocando mezz’ora si può essere decisivi. Pure giocando non tutte le partite si può essere amati. Se io sono qua è per questi requisiti. È la qualità di come si fa il minutaggio, non la quantità. Il giocatore si deve incazzare, senza però venir meno ai suoi doveri e essere di disturbo agli altri. Il rispetto per i compagni e per i ruoli non deve mai mancare. Poi se si incazza sono contento, vuol dire che ha qualcosa dentro. Nel momento in cui mi sono incazzato meno ho smesso. L’importante è che il giocatore abbia la voglia di prepararsi a vincere. Significa anche ingoiare qualcosa». Non scimmiotta nessuno dei suoi allenatori. «Spalletti? Mi ha lasciato in panchina. Dovrò assolutamente riuscire ad essere me stesso. Prenderò qualcosa da ognuno ma se non sono cose tue non avranno mai lo stesso valore anche per chi le ascolta». Racconta il colloquio con Ranieri: «L’ho chiamato per due motivi. Per ringraziarlo: è una delle prime persone che, quando ho deciso di fare l’allenatore, l’ha saputo per una coincidenza. Eravamo insieme, mi ha dato consigli. E perché lo stimo. Non sono andato nel dettaglio: io mi devo fare la mia idea, da dentro e da subito, e non da quello che è successo. Insomma, un saluto non di circostanza».
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