(Il Romanista - T.Cagnucci) - Mo’ vallo a spiegare come s’è persa ’sta partita che dopo l’1-1 tutti i romanisti pensavano di vincere... La cosa strana è che la spiegazione è spiazzante come il risultato:
rassegna stampa roma
“Questa è la mia squadra”
(Il Romanista – T.Cagnucci) – Mo’ vallo a spiegare come s’è persa ’sta partita che dopo l’1-1 tutti i romanisti pensavano di vincere… La cosa strana è che la spiegazione è spiazzante come il risultato:
due giocatori lasciati completamente soli nella tua area piccola su un calcio d’angolo subito all’ultimo minuto non sono ammissibili non solo in serie A, ma in nessun campo di pallone. Nella partita che fai coi Giovanissimi alle 11 di domenica mattina ’ste cose non si vedono. Il punto è capire se questa è casualità o meno. E la casualità è sempre una brutta spiegazione soprattutto e principalmente per questa Roma che non si dà alibi e prova sempre a giocare a pallone. E’ il quinto gol da inizio stagione che prendiamo negli ultimi attimi di partita (Slovan, Cagliari, Siena, Lazio, Genoa): se due indizi fanno una prova, cinque gol presi sono una confessione. La paura di non riuscire ad ottenere quello che vuoi e soprattutto la mancanza di concentrazione sono errori gravi quanto quelli di giocare male il pallone. Sono errori per i quali perdi le partite all’ultimo minuto.
Sono errori che si sono ripetuti anche in queste cinque partite e in quella di ieri: il primo gol del Genoa lo ha fatto Heinze in una di quelle azioni che si chiamano appoggio in alleggerimento che l’argentino ha preso alla lettera. Luis Enrique queste le cose le sa perché a fine partita non le ha nascoste: «Dobbiamo rimanere concentrati, nel secondo gol soprattutto non lo siamo stati e il primo è stata una cosa infantile». Luis Enrique queste cose le sa, ma sa di più anche altre cose: «Questa è la mia squadra, una grande squadra, sono veramente contento». Chiamatelo matto, fate pure. Adesso è facile attaccarlo. Ma sa molto di Roma. C’è molto dell’essere romanista. Ci mette la faccia, non si deresponsabilizza, non cerca alibi (vero Gervasoni?), non scarica colpe, va oltre. Fa la radiografia alla verità e al futuro. E’ stato preso per questo. E’ stato preso per far crescere un’idea, che lui e nessuno dei suoi ha minimamente intenzione di rinnegare. Quando si parla di progetto e di rivoluzione troppo spesso lo si fa a vanvera o per retorica o per sentito dire o per la voglia di aggregarsi, ma è in questi momenti, è dopo partite come queste che si fa la differenza. E non è follia.
Perché se le critiche non mancano e vanno fatte, non manca per niente il resto: la Roma ha fatto la partita, se l’è comandata a Marassi contro una formazione che meritava di vincere a Torino contro la capolista Juventus solo tre giorni fa, ha subito un tiro e mezzo in porta, ha tirato più di quanto ci si ricordi, insomma le ragioni per le quali c’è da recriminare sono anche quelle per cui c’è da sperare. Un esempio concreto: Borini ha fatto gol quando è andato a fare il "terzino" destro (e ha segnato con un assist di Borriello dopo l’unica bella giocata di Osvaldo: cioè una rete impacchettata e confezionata da Luis Enrique); il gol da polli che abbiamo preso è arrivato perché lì a destra dove ci sarebbe dovuto essere il Cassetti della situazione (cioè esattamente Borini) non c’era nessuno. Ora non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno, perché quando perdi è vuoto. Si tratta di capire e di volere andare avanti, di vedere e avere quasi il coraggio di dire una verità più grande: la Roma non meritava per niente di perdere a Marassi. E’ così semplice. Poi ci penserà il futuro a spiegare meglio questa partita.
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