rassegna stampa roma

Per la Roma ci sono pure i cinesi

(Corriere dello Sport – R. Maida) – Roma globalizzata. Dagli Usa alla Cina, passando per la me­diazione di Unicredit. E’ uno scena­rio prematuro eppure non fanta­scientifico, nel medio-lungo termine. Perché un fondo di Pechino...

Redazione

(Corriere dello Sport - R. Maida) - Roma globalizzata. Dagli Usa alla Cina, passando per la me­diazione di Unicredit. E’ uno scena­rio prematuro eppure non fanta­scientifico, nel medio-lungo termine. Perché un fondo di Pechino contatta­to da Paolo Fiorentino, responsabile operativo della banca e consigliere di amministrazione della Roma, ha manifestato un certo «gradimento» per l’ipotesi di investimento nella so­cietà.

LA SITUAZIONE - La notizia, pubblicata ieri dall’inserto finanziario di Repub­blica, merita un ap­profondimento. Il soggetto in questione si chiama China Inve­stment Corporation ed è un fondo sovra­no,cioè controllato direttamente dal go­verno cinese, costi­tuito nel 2007. Ha una dotazione spaventosa (c’è chi dice 200 mi­liardi di euro, chi ad­dirittura 300) e una quantità enorme di denaro già piazzata proprio negli Stati Uniti, in particolare nella finanziariaBlackstone Group e nella banca Mor­gan Stanley. I responsabili del fondo cinese hanno incontrato più volte i dirigenti di Unicredit, manifestando la disponibilità (generica, per ora) ad acquistare fino al 20 per cento della quota azionaria in possesso della banca. Che per evitare di partecipa­re in modo massiccio all’aumento di capitale da 100 milioni ha fretta di li­berarsi delle azioni della Roma.

LA PRELAZIONE - Ma nessuna opera­zione può essere ultimata senza il consenso dell’azionista di maggio­ranza, cioè la cordata guidata da Thomas DiBenedetto. Secondo i pat­tiparasociali firmati al momento del passaggio di proprietà, Unicredit ha il diritto di cedere fino al 35 per cen­to della sua partecipazione (che in to­tale arriva al 40%) entro il 30 marzo, purché gli interlocutori siano im­prenditori italiani qualificati. E’ dun­que possibile che la manovra di Uni­credit («E’ una di quelle chiacchiera­te che nove volte su dieci si concludo­no in un nulla di fatto»dicono dalla banca) tenda ad attrarre investitori italiani entro la fine di marzo, più che a una trattativa reale con il fondo go­vernativo cinese. Anche perché, do­po il 30 marzo, il gruppo Usa può pa­reggiare qualunque offerta arrivata alla banca per rileva­re la quota di mino­ranza.

LE TAPPE - Ieri dall’en­tourage di DiBene­detto è trapelato un po’ di stupore per questa storia. Prima di commentare, vo­gliono vedere con i lo­ro occhi l’offerta del­la Cina per poi (nel caso) approvare l’in­gresso di un socio non italiano. Non è un af­fare che si chiuderà in pochi giorni, dun­que. Più urgente è l’accettazione dell’Opa da parte dei piccoli azionisti: da giovedì si comin­cia ma al prezzo riconosciuto di 0,6781 euro (-39,71% rispetto a sei mesi fa) è probabile che quasi nes­sun socio accetti di cedere le proprie azioni. Tra questi, udite udite, anche Francesco Totti, che ha deciso di conservare la sua quota, comunque molto inferiore rispetto all’acquisto avvenuto nel 2004 durante la ricapi­talizzazione dei Sensi (all’epoca un milione di azioni). La Roma ha pron­ti 30 milioni di euro per rastrellare il 33 per cento del mercato ma alla fi­ne risparmierà parecchi quattrini.