rassegna stampa roma

Osvaldo e i nervi tesi della Roma: quando comandano tutti e nessuno

(Il Messaggero – R.Renga) – La Roma s’è infilata in uno di quei momenti in cui sembra andare tutto storto. Se esce, resta bloccata nel traffico. Se rimane a Trigoria, cade dalle scale. Capita.

Redazione

(Il Messaggero - R.Renga) - La Roma s’è infilata in uno di quei momenti in cui sembra andare tutto storto. Se esce, resta bloccata nel traffico. Se rimane a Trigoria, cade dalle scale. Capita.

Capita che Borriello vada da Fiorello e che a qualcuno salti la mosca al naso. Capita ancora che Osvaldo si arrabbi con un compagno, ma, ricordando Lamela, si freni, non usi le mani e se ne vada negli spogliatoi che, peraltro, non distrugge. Capita di tutto, insomma. E proprio nei giorni in cui si contano le sconfitte e si scoprono che in campionato sono sei e che lunedì, guarda che succede, all’Olimpico arriva la Juventus, non, senza offesa, un tenero Lecce. È un caso che piova sul bagnato? È un caso che alla Roma ogni giorno ne succeda una, anzi ne succedano tre? Non è un caso.

Le critiche, si dice sempre, devono essere costruttive. Evitiamo dunque il viaggio a ritroso e lasciamo perdere come e attraverso quali strade contorte si sia arrivati sin qui. Facciamo finta che non sia vero e che la stagione stia per cominciare. Va meglio così? Allora, che succede?

Liti, lamenti, infortuni, indiscrezioni giornalistiche, contratti che vanno e vengono, Luis che si dimette, no ci ripensa e tira dritto, De Rossi che firma e non firma, Totti che ha bisogno delle stampelle, ma poi senza di lui si perde sempre e allora va richiamato ma non per giocare, bensì per scaldare la fredda panchina di Firenze. Capirete: non va. L’idea è questa: c’è un vuoto di potere. Quando c’è un vuoto, la legge fisica è chiara, va riempito. Come? Con un presidente effettivo e non saltuario, a settimane alterne. Insomma un capo vero, che stazioni a Trigoria e che mangi spaghetti all’amatriciana e non solo astici di Boston.

Accanto al presidente servono consiglieri la cui unità sia a prova di pettegolezzo. Granitici e infilati nella stessa garitta, colpo (di mercato, s’intende) in canna. Poi, via via, i sottoposti: amministratore delegato, direttore generale, direttore sportivo, allenatore in prima con tutta la sua schiera di collaboratori. Nella Roma le cose vanno così? No, ma andranno. L’impressione, e non solo, è che mister Pallotta si avvii a pesare più degli altri. Adesso magari non è in sintonia con il presidente. Adesso magari americani e banchieri non si trovano sulla stessa lunghezza d’onda e di conto corrente.

Però domani sarà un altro giorno, in cui tutto sarà limpido e in cui i ruoli saranno definiti e definitivi. Intanto che si fa? Si mette la Roma nelle mani di Franco Baldini, che non è solo quel violinista o direttore d’orchestra che capelli e gesti lasciano intendere. Baldini è un uomo di calcio, cresciuto accanto a un prosaico come Capello, dal quale ha certo appreso l’arte del comando. In attesa di un chiarimento a proposito della poltrona reale, Baldini recuperi il tempo perduto nella nebbia londinese, chieda e ottenga lo scettro, chiami a raccolta i suoi e sculacci gli altri che, in sua assenza, gettano in aria le carte giallorosse, cercando, tra l’altro, sostituti di un tecnico, che va invece sostenuto e accompagnato, mano nella mano, all’asilo. Faccia quadrato, il direttore, alzi anche la voce: qui conta la Roma. Per rilanciarla, a Trigoria deve regnare un solo re e, poi, la pace.