rassegna stampa roma

Organizzazione e cortesia:Barça non è solo 4-3-3

(Il Romanista – C.Zucchelli) Il modello Barcellona non è soltanto un 4-3-3 fatto di manovra ragionata e azioni spettacolari. Il modello Barcellona è (e sarà sempre) un centro tecnico all’avanguardia, una cura maniacale nei dettagli, una...

finconsadmin

(Il Romanista - C.Zucchelli) Il modello Barcellona non è soltanto un 4-3-3 fatto di manovra ragionata e azioni spettacolari. Il modello Barcellona è (e sarà sempre) un centro tecnico all’avanguardia, una cura maniacale nei dettagli, una cortesia incredibile, una passione che contagia tutti, dai bambini agli operai, dalle persone della sicurezza ai giocatori della prima squadra.

I quali, in tempi non sospetti, avevano definito la città sportiva del Barça, una «seconda casa». E della casa, la Ciutat Esportiva Joan Gamper, ha davvero tutti i requisiti. E’ accogliente, al riparo da occhi indiscreti ma capace, con un nulla, di aprirsi al mondo. Come è successo ieri mattina: un rapido sms all’ufficio stampa, l’accredito per entrare, la visita. Tutto in meno di un paio d’ore. Sotto un caldo da almeno 30 gradi, prima col sole poi con la pioggia, la prima persona che entra nel centro tecnico è il papà di Leo Messi.

Non c’è neanche bisogno di chiederlo a qualcuno, visto quanto sono uguali. Si ferma a parlare con due persone, pare sia venuto a ritirare degli scarpini lasciati dal figlio fenomeno. Sorride, poco incline a rilasciare dichiarazioni, e se ne va.

Poco dopo, le due addette alla sicurezza, che poco onore fanno alla bellezza delle donne catalane, dicono che è arrivato il momento di poter entrare. La sbarra si apre, compare un enorme logo del Barcellona, tutto intorno si snodano edifici grigi intervallati, qua è là, da blaugrana. «Potete andare dove volete e, qualsiasi cosa serva, chiedete».

Difficile scegliere la direzione giusta. I campi sono 9, divisi tra erba naturale, 5, e sintetica. Tutti misurano la stessa distanza: 105 metri per 68. Per comodità, dopo aver preso una bottiglia d’acqua al distributore automatico (dove, neanche a dirlo, c’è la scritta “mes que un club”) il primo campo che compare sulla destra è il numero 1. E non ci vuole molto a capire che lì Guardiola prepara, con la sua squadra, i trionfi del Barça. Il campo è perfetto, l’erba appena tagliata, tanto che si sente l’odore, c’è una tribuna coperta – blaugrana – da circa 800 posti, ai lati le gigantografie dei campioni della squadra. In un angolo, perfettamente allineate, le sagome gialle con cui provare le punizioni.

Si possono fare foto, calpestare l’erba, osservare, ma non fotografare, anche gli uffici interni con vista sul campo. Poco distante, ecco gli altri campi: il 2, il 3, il 4, che pare sia il preferito di Luis Enrique. Qui, stamattina dalle 11.30 alle 13, si alleneranno i suoi ragazzi. Accanto al campo 2, in erba, c’è quello sintetico. Su entrambi operai specializzati sono al lavoro. Vengono ridisegnate le strisce, viene tagliata la siepe ai lati. Tutta alla stessa altezza, perché tutti i campi devono essere uguali. «Perché qui – spiega un allenatore delle giovanili, che chiede di restare anonimo – veniamo considerati tutti nello stesso modo. Campi uguali, stesse divise, stessa attenzione da parte della società. Ogni formazione ha un dirigente che se ne occupa». Mentre parla, questo ragazzo che avrà si e no 30 anni («facciamo qualcuno in più») sistema i palloni: da calcio e da pallamano: «Mi piace far divertire i ragazzi e consentirgli di imparare gli schemi anche così». Il modulo? «Il 4-3-3, claro».Claro, appunto. Come claro è l’orgoglio blaugrana di chi lavora ogni giorno a stretto contatto con gente come Messi o Iniesta.

L’operaio che stava tagliando la siepe, incuriosito dalla macchina fotografica, si toglie cappello e guanti e racconta: «I giocatori che sono qui, sia quelli che ci sono cresciuti sia quelli che arrivano dopo, per prima cosa sanno che ci si comporta in un certo modo. Salutano tutti, tengono il cellulare con la suoneria bassa, evitano urla o gesti plateali. Loro giocano nel Barcellona e si comportano in maniera adeguata ». Si urla sì, ma soltanto in campo: «Guardiola parla molto ma con un tono di voce più basso, Luis Enrique si sente da un campo a un altro». Quando terminano di allenarsi, i giocatori all’interno del centro sportivo possono rilassarsi in tanti modi. C’è un ristorante, un bar, una sala tv, un campo da basket, una palestra super accessoriata, un biliardo e una marea di uffici dove lavora gente pronta a soddisfare tutte le richieste e le necessità dei giocatori.

C’è persino un meccanico per le automobili: «I nostri calciatori devono pensare solo a giocare - conferma un impiegato – mentre ai ragazzi più giovani cerchiamo di essere accanto anche nei piccoli grandi problemi della vita». Mes qué un club, quindi, eccolo lì. A Sant Joan Despí, periferia sud-est di Barcellona, una cittadina che «emoziona» come recita il cartello di ingresso. Dal centro città ci si arriva in venti minuti di macchina (un po’ di più se si prende la metro) passando accanto anche al centro sportivo dei rivali cittadini dell’Espanyol. La città sportiva Joan Gamper, intitolata al primo presidente del Barcellona, ricopre un’area di 136.839 metri quadrati ed è stata inaugurata, come targa all’ingresso ricorda, nel 2006. E’ vietato fumare, come ricorda un cartello, anch’esso posto all’entrata, e si invitano tutti i visitatori «a mantenere un tono di voce consono». Il direttore, ieri assente, è Guillermo Amor, una vecchia conoscenza del calcio italiano per aver indossato, tra il 1998 e il 2000, la maglia della Fiorentina. Oggi dirige la cantera ed è amato e stimato da tutti, a partire da Pere Gratacos, che invece dirige nel dettaglio la cittadella sportiva. Dove si allenano 13 squadre, formate da ragazzi che vanno dai 7 ai 17 anni. Sono i non professionisti, a cui poi si affiancano gli juvenil A e il Barcellona B: 210 giovani di cui oltre il 70% è catalano.

Alcuni vivono nella Masia, il collegio del club, per gli altri la società paga e gestisce miriadi di taxi che li accompagnano ogni giorno. Spesso sui taxi neri e gialli trovano posto anche degli insegnanti che possano aiutare i ragazzi nei compiti. Perché va bene il gioco, ma la scuola «non deve essere sottovalutata». Ci sono solo alcune persone, infine, che alla Ciudad Esportiva Joan Gamper non sono viste di buon occhio e sono gli osservatori stranieri. Qui ancora tutti ricordano lo “scippo” di Wenger nel 2003: il giocatore, allora sedicenne, era un certo Cesc Fabregas: «Ma tanto – commenta un operaio alle dipendenze del club da 13 anni – ce lo riporteremo a casa. Cioè qui».