rassegna stampa roma

Notte da duri

(Il Romanista-C.Fotia) C’è bisogno di una notte da duri. Di una notte per quelli che «quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare». Una notte da romanisti veri, insomma.

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(Il Romanista-C.Fotia) C’è bisogno di una notte da duri. Di una notte per quelli che «quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare». Una notte da romanisti veri, insomma.

Serve lo spirito gladiatorio che la Roma esibiva l’anno scorso di questi tempi.

Voglio rivedere le vene gonfie del collo di Daniele De Rossi, udire il suo urlo liberatorio squarciare la notte di San Siro e portarsi via quell’umore sospeso tra rabbia e scetticismo - ne ha già scritto ieri egregiamente Paolo Marcacci - che sembra dominare l’animo del popolo giallorosso. I tifosi romanisti hanno tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiati, ma bisognerebbe cercare di non farsi prendere da quella sensazione di leggera follia che, spesso orchestrata a dovere, rischia di nascondere il fatto che la Roma è entrata dentro un passaggio epocale, che cambierà la sua storia e quella del calcio italiano. La trattativa è stata estenuante, i passaggi burocratici infiniti, l’interregno interminabile. Come in ogni rivoluzione, il momento del passaggio dei poteri è quello più delicato. Chi ha da perdere vecchie posizioni di potere organizza sacche di resistenza e cerca di ricollocarsi, i poteri costituiti, che temono l’avvento del nuovo cercano di annullarne la carica rivoluzionaria. Avete presente Il Gattopardo, il capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa trasformato in un film epico dal grande Luchino Visconti? Il Principe di Salina a un certo punto svela il segreto del perpetuarsi delle stesse classi dirigenti: «Occorre che tutto cambi perché nulla cambi».

Nei palazzi del potere, a Roma e fuori da Roma, sono tante le forze che tentano di indurre Mr Tom e i suoi soci a venire a patti con il vecchio sistema, pronto ad accoglierli nel suo immenso ventre, purché si adeguino a non cambiare nulla. Le avvisaglie c’erano state subito. Il presidente del Coni redarguì il futuro presidente della Roma, perché si era permesso di fare alcune osservazioni sull’Olimpico e di parlare della prospettiva di uno stadio di proprietà; il presidente della Lazio, che non aveva neppure i soldi per pagarlo, l’affitto dello stadio, gli intimò di tacere e di rispettare la sacralità dell’Olimpico, salvo dire qualche settimana dopo che porterà la sua squadra a giocare a Firenze se mai le dovesse accadere di giocare in Europa. Il presidente del Milan, che si era già in passato dato da fare per impedire lo sbarco dei petrolieri russi a Roma, cercò di scoraggiarlo: nel calcio c’è solo da rimetterci soldi, gli disse (e lui se intende visto che ha riaperto il portafoglio solo perché spera che questo gli faccia vincere le elezioni); quello del Palermo, quasi gli intimò di mostrare le sue credenziali. Gli imprenditori romani, nessuno dei quali, finora, ha voluto investire un euro nella Roma, ironizzavano nei salotti sul suo look dimesso.

In realtà, Mr Tom e i suoi soci sapevano bene cosa li aspettava e hanno idee molto nette. Di una tale semplicità da essere rivoluzionarie. Sono venuti per vincere e sanno bene che per vincere devono investire e quindi allestire una squadra di alto livello, come lo era quella dell’era Sensi . Ma sanno anche che per vincere occorre che la competizione si svolga in modo corretto...