(Il Romanista) Quando il businessman di Boston Thomas DiBenedetto ha comprato la quota di maggioranza della Roma, non posso dire di avere gioito. Come tifoso americano della Roma dal 1982,
rassegna stampa roma
Mr Tom conquista il NY Times
(Il Romanista) Quando il businessman di Boston Thomas DiBenedetto ha comprato la quota di maggioranza della Roma, non posso dire di avere gioito. Come tifoso americano della Roma dal 1982,
non volevo uno "Yankee" magari ignorante delle cose di calcio che creasse confusione o rendesse la società troppo americana in nome di un buon investimento. Non voglio che la Roma finisca nell’ombra della notte - la sua bacheca di trofei per quanto non certo assortita ha 84 anni di memorie - per capitalizzare su un mercato potenzialmente notevole.
Certamente DiBenedetto non trasferirà la Roma al Lucas Oil Stadium di Indianapolis, ma quando è uscita fuori la notizia di una possibile revisione del logo - qualcosa di sacro quando si parla di calcio - si è iniziato a pensare che ogni cosa fosse possibile. E se dovessero rimpiazzare l’attuale logo della lupa che allatta Romolo e Remo - la mitica fondazione di Roma - con qualche lupetto simile a un cartone animato? E se dovessero cambiarmi i giallorossi in blu metallizzato, argento e nero? Scherzi a parte, è difficile ignorare alcuni fallimenti e alcune cadute degli americani nel calcio europeo, come ad esempio il fatto che i tifosi del Manchester United hanno bruciato l’effige di Malcom Glazer, il proprietario dei Tampa Bay Buccaneers che ha comprato il Manchester United. Perfino per i fans americani che non seguono la Premier League è impossibile non notare il "fiasco" di Hicks e Gillet al Liverpool, che a causa dei troppi debiti sono stati costretti a vendere il Liverpool nel 2010, dopo tre anni e mezzo. Per contrasto, Stan Kroenke, proprietario dei St. Louis Rams, dei Denver Avalanche e dei Denver Nuggets, ha acquisito il controllo dell’Arsenal (che ha qualche problema in campo ma nell’ultima settimana di mercato ha fatto buoni acquisti) e non ci sono proteste per il suo acquisto. Il Liverpool è stato comprato da altri americani, la Fenway Sports Group di John Henry e Tom Werner, proprietari dei Boston Red Sox, che si sono presentati bene. Nessuna meraviglia, dato che i Red Sox sono un team che apprezza onori, storia e tradizioni. DiBenedetto è un partner del Fenway Group e la cosa mi tranquillizza.
La Roma, che probabilmente inizierà la sua stagione nel prossimo week-end, non sarà il club di maggior successo in Italia, ma non è affatto modesto. Ha un fatturato di 177 milioni, il 18/o al mondo secondo il rapporto della Deloitte. Però i giallorossi danno un senso di società provinciale, a conduzione familiare - più recentemente la famiglia Sensi. Tutto questo sebbene il club abbia avuto una visibilità internazionale con atleti come Falcão, Aldair, Cafu, Gabriel Batistuta, Abel Balbo, Daniel Fonseca, Hidetoshi Nakata, Rudi Völler, Thomas Haessler e anche Pep Guardiola, il tecnico del Barcellona, non si è mai globalizzata.
Il problema è che i soldi della Roma non sono mai sembrati particolarmente ben spesi e ci sono stati problemi di organizzazione. Provate a trovare strutture adeguate nello stadio Olimpico o a comprare qualcosa sul sito. Nella stagione 2004-2005 il club aveva solo 4 dirigenti. Mi mancherà la proprietaria Rosella Sensi, che aveva ereditato dal padre, ripresa sempre elegantemente a fumare. Sarà stata come negli Anni 50, ma ha portato un po’ di Dolce Vita allo stadio. Anche Bruno Conti, icona degli Anni 80 che mi ha fatto diventare tifoso dopo la Coppa del Mondo del 1982, fuma una sigaretta dopo l’altra sulla sua panchina. Sarà vietato il fumo allo stadio per renderlo più piacevole ai turisti americani che vorranno venire a vedere una partita alla fine del loro pacchetto di viaggio sei giorni-sette notti, Venezia-Firenze-Roma?
Il calcio italiano continua ad avere il suo fascino e nonostante i problemi con la Serie A e alla Roma, c’è molta virtù, ci sono cose belle. Francesco Totti, capitano di lungo corso, rappresenta sia i problemi sia le virtù. Lui è nato a Roma e ha sempre giocato nella Roma, non parla inglese e non ci prova, è conosciuto affettuosamente come "pupone", si succhia il pollice quando segna, è odiato dai tifosi dell’altra squadra di Roma, la Lazio, che sono stati a lungo associati con la destra politica, è noto per essere un cascatore ma è anche un genio sul campo. L’altro giocatore simbolo è Daniele De Rossi, noto come Capitan Futuro, non è un playmaker come Totti ma è un centrocampista duro e senza paura. Anche lui è romano.
Nell’era della Champions League, la Roma è stata spesso vicina a momenti di grandezza. Nel 2007 ha battuto i campioni di Francia del Lione in casa loro e nell’andata dei quarti di finale all’Olimpico il Manchester United. Con Spalletti e il suo iconoclastico 4-6-0, i giallorossi si sono fatti ammirare e hanno fatto impazzire i tifosi, finché non sono implosi all’Old Trafford, perdendo 7-1. Se la Roma è un buon team, a volte è stata grande, non è mai stata un super team,uno dei "galacticos" e non si sono mai viste grandi spese per i giocatori o impazienti proprietari stranieri. La prima mossa del nuovo management - l’ingaggio dell’allenatore - è stata allo stesso tempo visionaria, trendy o codarda. Fuori l’allenatore di transizione Vincenzo Montella, stella della squadra dal 1999 al 2009 ma poco esperto e dentro Luis Enrique, 41 anni, tecnico del Barcellona B, con i suoi 4 assistenti. Luis Enrique ha giocato in una Spagna che in passato non ha raccolto quanto avrebbe potuto. Adesso è una squadra che non può perdere, hanno vinto anche il campionato europeo Under 21 sempr con la filosofia del "tiki-taka" che ha aiutato la squadra a vincere Europei e Mondiali. È una scelta ispirata, secondo un modello aziendale americano: cercate di prendere il migliore e, se non potete prenderlo, andate a vedere chi è il suo vice. L’innamoramento americano verso questo apparentemente santo Barcellona appare abbastanza ovvio e un po’ naif. Barcellona non è stata costruita in un giorno, quindi bisogna dare a Enrique il tempo necessario (anche se i tifosi della Roma stanno perdendo la pazienza dopo l’eliminazione dall’Europa League). La tradizione, per certi versi, può essere limitante. E la Roma ha giocato del grande calcio con due tecnici svedesi (Liedholm ed Eriksson, ndr) e uno ceco (Zeman, ndr) negli ultimi 30 anni.
DiBenedetto ha detto che vuole un nuovo stadio e più potere per lui. Il grande Olimpico, che ha ospitato i Giochi olimpici nel 1960, è una delle arene più inospitali d’Europa. Ma realizzare qualcosa a Roma - come costruire la Metro C - sembra impossibile. Se DiBenedetto farà il suo stadio diventerà un immortale nella città eterna. Stadio DiBenedetto, suona bene. MICHAEL J.AGOVINO
© RIPRODUZIONE RISERVATA