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Montini: «Sì, siamo nella storia della Roma»

(Il Romanista-V.Meta) La Roma è campione d’Italia da meno di un’ora, quando da uno spogliatoio in cui imperversano i gavettoni, esce il ragazzo che ha deciso la finale con una tripletta.

Redazione

(Il Romanista-V.Meta) La Roma è campione d’Italia da meno di un’ora, quando da uno spogliatoio in cui imperversano i gavettoni, esce il ragazzo che ha deciso la finale con una tripletta.

Vestito di tutto punto, con tanto di felpa buttata sulle spalle, perfettamente pettinato, Mattia Montini si affaccia nel corridoio allagato con l’espressione di uno che gli scudetti li vince tutti i giorni. «Me l’hanno detto tutti che sembrava che non avessi fatto niente di speciale - dice ridendo -, ma non è che io sia uno freddo o che non si emoziona, eh! Semplicemente mi è venuto così: ero felicissimo, non ci capivo niente, però non sono riuscito a fare casino come gli altri». Lo dice quasi scusandosi, Montini, reduce da settimane intense e non solo per gli esami di Maturità: da quando i suoi tre gol hanno consegnato alla Primavera uno scudetto che a dieci minuti dal 90’ sembrava sfumato, il suo telefono non ha mai smesso di squillare. È finito su tutti i quotidiani nazionali, di lui ha parlato la tv - e non più soltanto Roma Channel. Chi lo conosce sa che tanta visibilità lo lascia un po’ frastornato, anche se è troppo educato per negarsi. D’altra parte, l’exploit nelle fasi finali - cinque gol in tre partite, un terzo di quelli che ha segnato complessivamente in stagione - ha puntato su di lui riflettori inattesi: Mattia si è destreggiato con la consueta eleganza e ora aspetta di conoscere la squadra in cui giocherà l’anno prossimo per decidere a quale università iscriversi.

Nei giorni seguenti la finale dicevi che ancora non avevi realizzato. Ora ci sei riuscito? Sì, adesso sì. Ed è incredibile pensare che un po’ di storia della Roma l’abbiamo fatta anche noi.

Se ci pensi ora, qual è il primo ricordo che affiora? Sicuramente il gol del 2-2 in finale: mai provato niente del genere. In un attimo è cambiato tutto, la partita sembrava finita, ma non potevamo perdere in quel modo. Dopo quel gol - l’arbitro non ha nemmeno fatto riprendere il gioco -, abbiamo avuto la sensazione che avremmo vinto. Non poteva essere diversamente.

È stato quello il gol più importante della tua vita? Sì. Sai, il 3-2 è stato bello, ma se non l’avessi fatto in quel momento, sono convinto che avrei comunque segnato dopo. Il 2-2 invece è stato nettamente più importante perché era l’evento che ha cambiato tutto: anche adesso che ci ripenso non so bene come l’ho fatto, ma in un certo senso me lo sentivo, anche se alla fine è stato un gol insperato quanto decisivo. Con dedica a chi non credeva in te. Confermo. A chi mi riferivo? Non voglio fare nomi, ma diciamo che si tratta di alcune persone che frequentano il mondo del calcio e si permettono di dare giudizi, di dire che non sono un giocatore decisivo, senza peraltro avermi mai visto giocare. Posso accettare le critiche di chi mi ha visto giocare, ma se uno non è mai stato a una mia partita però si sente autorizzato a giudicarmi, proprio no. L’ho detto quella sera e lo ripeto ora: per me quei cinque gol nelle finali sono stati anche una rivincita.

Quando sei tornato a casa dopo lo scudetto hai trovato un’accoglienza particolare? No, io e i miei genitori siamo persone molto discrete e non ci piace metterci in mostra. Ho festeggiato con mamma e papà, niente di eccessivo.

Hanno paura che ti monti la testa? Non c’è pericolo. Pensa che già il giorno dopo lo scudetto, loro hanno cominciato a dirmi "Mi raccomando Mattia, adesso vedi di metterti a studiare, che tra poco hai gli esami di Maturità". Alle finali mi hanno seguito sempre tranne alla prima partita perché mia madre aveva un impegno di lavoro, ma come dicevo loro sono gente molto discreta, non sono tifosi accaniti. Però devo dire che da quando sono tornato papà si sarà rivisto la sintesi della finale almeno duecentotrenta volte, sai com’è, la programmazione di Roma Channel la ripropone di continuo... Ho visto la sua espressione quando mi guarda in tv: mi sa che sono riuscito a renderlo felice. E sono contento.

E tu quante volte l’hai rivista la finale? I gol un sacco di volte, anche perché mi hanno taggato in tanti video su internet, la partita invece l’avrò vista una o due volte, ma voglio aspettare un po’ per guardarmela di nuovo, perché rischia di diventare una cosa scontata e invece quando la rivedrò, mi voglio emozionare.

Dopo quell’exploit, sembra che ti vogliano tutti. Ma non è vero. Di eventuali richieste, io non so ancora nulla. Credo che andrò a giocare in prestito da qualche parte per fare esperienza, ma non ho la mimima idea di dove.

Ti piacerebbe fare il ritiro con Luis Enrique? Eh, mi piacerebbe sì... comunque ti alleni con la prima squadra due settimane, magari l’allenatore ti vede e decide di farti rimanere a fare il quarto attaccante, che ne sai?

L’anno scorso ti sei mai allenato con la prima squadra? Mai. Con Ranieri ho giocato solo l’amichevole a Grosseto la scorsa estate, con Montella neanche un allenamento.

Qualche rimpianto? Sinceramente? Sì. Non nascondo che quest’anno sognavo di lasciare la Primavera con qualche convocazione in prima squadra e - perché no? - pure con l’esordio, anche perché quella di quest’anno era una grande Primavera. Invece ho pagato i problemi fisici che mi hanno tormentato tutta la stagione: in certi periodi, se anche alla prima squadra fosse servito un attaccante, io stavo male.

Guardando solo le finali non si direbbe, ma per te questo non è stato un anno facile. No, per niente. E anche alle finali ho stretto i denti e giocato nonostante un problema alla caviglia, sempre la stessa. È stato un anno di alti e bassi, di "sbalzi d’umore" dico io, anche perché in certi momenti c’è stata qualche incomprensione con lo staff medico. Quando ti fai male spesso e stai fuori a lungo (Mattia è stato fermo da ottobre a dicembre per una lesione al tendine della caviglia, ndr) va a finire che ti dicono che sei ipocondriaco, che è un fatto mentale. Non era vero: la caviglia mi faceva male e quando abbiamo approfondito gli esami, è sempre venuto fuori che qualcosa c’era. Quando sono rientrato credo di aver fatto buone prestazioni.

È arrivata pure la Nazionale. Sì. Ci tenevo e credo che avrei potuto avere qualche convocazione in più se avessi giocato di più, specialmente le partite importanti: sai, quando la finale di Coppa Italia non la giochi, con l’Inter non giochi, gli allenatori non hanno nemmeno modo di vederti.

Sei diventato un po’ famoso? Un po’ sì, soprattutto a Frosinone. In realtà qui, essendo una realtà piccola, qualcuno mi conosceva già. E siccome la mentalità è da ambiente piccolo, qualche malignità c’è sempre, magari un vicino di casa che diceva "tanto non arriverà mai a giocare". Ecco, anche questa è una rivincita.

E il successo con le ragazze quanto è aumentato? Ma lo sai come sono le tifose della Roma... magari qualcuna si è accorta di me, qualche apprezzamento in più... I primi giorni dopo lo scudetto, non potevo entrare nel mio profilo di Facebook che ero sommerso da messaggi e richieste d’amicizia. Io però sono uno riservato, ho accettato solo quelle che conoscevo già da prima.

Come sta andando la Maturità? Bene, ho fatto un buon tema e nel complesso gli scritti sono andati bene. Ora mi sto preparando per gli orali. Se ci tengo al voto? Sì, molto e ci tengono anche i miei genitori. E poi andrò all’università, io: Scienze Motorie, credo o forse Giurisprudenza. La laurea è sempre stata nei piani.

Dopo tre anni, hai lasciato il pensionato. Già. Ti confesso che l’ultimo mese non vedevo l’ora di tornarmene a casa, non ce la facevo più. Con tutto che i miei genitori stavano a ottanta chilometri e non mi hanno mai fatto sentire solo, se avevo bisogno di qualcosa venivano da me, mi hanno sempre coccolato. Però quando sono tornato per gli esami e ho rivisto i posti e le persone con cui ho vissuto per tre anni, un po’ di nostalgia mi è venuta.

Hai sempre voluto fare il calciatore? Veramente il primo sport che ho fatto è stato judo, avevo sei anni e andavo pure in piscina. Il calcio però mi è sempre piaciuto, la domenica papà mi portava a giocare, mi diceva di calciare con il destro e il sinistro e si vedeva che qualche qualità c’era. Quando ho iniziato le Elementari, mi sono iscritto a scuola calcio e il sogno è sempre stato quello. Ma l’hai visto il film Il cigno nero? Sì! Bellissimo...